L’Ocse boccia l’istruzione italiana: tanti i laureati in materie umanistiche ma pochi in generale. L’Italia registra appena il 18% di dottori, contro il 37% della media nella zona Ocse. Peggio di noi solo il Messico. La fotografia emerge dal rapporto annuale ‘Uno sguardo sull’istruzione 2017‘ della stessa Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico.

Università e lavoro: “Prospettive insufficienti” – Nel report dell’Ocse appare negativo anche il dato sul conseguimento di una prima laurea, fermo solo al 35%. Per capire: è il quarto più basso dopo Ungheria, Lussemburgo e Messico. Ma è il panorama dietro questi numeri che allarma. Le cifre potrebbero essere la conseguenza di “prospettive insufficienti di lavoro e a bassi ritorni finanziari in seguito al conseguimento di un titolo di studio terziario”. Nel 2016 solamente il 64% dei laureati compresi tra i 25 e i 34 anni ha trovato un lavoro. Contro l’80% tra gli adulti 25-64enni. Non solo, da quanto si legge nel rapporto, in Italia le prospettive di lavoro per i laureati sono inferiori rispetto a quelli dei diplomati.

Sulle lauree i dati sono da contestualizzare a livello regionale. Meglio il Centro che ha una maggior percentuale di laureati tra i 25-64enni rispetto alle altre aree del paese: il 20% contro il 18% della media nazionale. La media delle regioni del Nord si attesta sul 18% mentre quella del Sud e Isole scende al 15%. Numeri che migliorano – secondo l’Ocse – se si guarda alla fascia 25-34 anni. I giovani laureati si concentrano nelle regioni più dinamiche del Nord. La provincia di Trento è quella che ha il più alto tasso di istruzione terziaria tra i giovani, 30%. Mentre in Veneto il tasso di istruzione terziaria tra i giovani è quasi doppio rispetto a quello della popolazione adulta nel suo insieme. Sud e isole, con il 21%, restano indietro rispetto al Centro, 29%, e al Nord, 27%.

Più uomini in materie tecniche, più donne in quelle umanistiche – Belle arti, discipline umanistiche, scienze sociali, giornalismo e informazione sono i campi di studio preferiti dagli italiani. O meglio dalle italiane. Se in questi ambiti nel 2016 si è registrato il 30% dei laureati – il numero più importante nell’area Ocse – è vero però che le donne sono più presenti nelle aree umanistiche, sanità e nei servizi sociali, con il 60% di lauree conseguite. È totalmente rosa anche il settore educativo. Qui si registra un totale predominio femminile, con il 95% di lauree di primo livello e 91% di lauree di secondo livello. Il divario di genere più importante dell’area Ocse.

Per quanto riguarda le discipline scientifiche l’Italia ha avuto il 24% dei laureati, un dato di poco inferiore alla media Ocse. Nell’area scientifica sono però gli uomini a fare la parte grossa: tecnologie dell’informazione e della comunicazione, 79% di maschi laureati di primo livello e 86% di secondo. Mentre in ingegneria, produzione industriale ed edile  i laureati si attestano a 69% e 73%. Un dato che è in linea con il trend dei paesi appartenenti all’organizzazione.

Un ragazzo su quattro non studia e non lavora – Dal quadro stilato dall’Ocse, però, sono più i non laureati a preoccupare. In Italia un ragazzo tra i 15 e i 29 anni su 4 non è occupato o non è iscritto a un percorso di formazione. I Neet italiani – coloro che non studiano né lavorano –  raggiungono il 26% contro una media Ocse del 14%. Solo la Turchia registra un dato peggiore. Maglia nera per Campania, Calabria e Sicilia, dove è Neet più di un giovane su tre, rispettivamente 35%, 38% e ancora 38%. In Sardegna e Puglia il 31%. Le aree con meno inoccupati non iscritti sono Bolzano con il 10%, Veneto, Emilia Romagna e Trento in cui si fermano al 16%.

Male la spesa pubblica per l’istruzione – Il tutto da unire al calo della spesa pubblica per l’istruzione registrato nel 2014.  L’Italia ha dedicato solo il 4% del suo Pil contro il 5,2% della media Ocse. Lo studio evidenzia come Roma abbia riservato il 7,1% dell’importo delle amministrazioni pubbliche all’intero ciclo che va dalla scuola primaria all’università. Una flessione del 9% rispetto al 2010, che il rapporto definisce come l'”indice di un cambiamento nelle priorità delle autorità pubbliche piuttosto che di una contrazione generale di tutte le spese governative”.

Le reazioni – Sul nodo spesa arriva anche il commento della ministra dell’istruzione Valeria Fedeli, che fa notare che “i dati diffusi oggi, 12 settembre, si riferiscono al 2014”. Da allora, con la riforma Buona Scuola e le successive leggi di bilancio, sono stati fatti investimenti importanti, 3 miliardi a regime sulla scuola, “che si evidenzieranno – spiega – nei prossimi Rapporti Ocse. Così come sono aumentati gli investimenti per l’Università. C’è già stato un cambio di passo, un impegno che intendiamo portare avanti”. Mentre sull’incrementare il numero di laureate e laureati  romette: “È uno degli obiettivi che ci siamo prefissati e verso il quale ci stiamo già muovendo. I dati confermano un quadro che conosciamo e rispetto al quale il Governo sta mettendo in campo azioni mirate, nella consapevolezza che aumentare il numero di coloro che si laureano, con un’attenzione specifica all’incremento delle lauree nei settori scientifici”. Un tema che seconda la ministra riguarda “il futuro del nostro paese e la capacità di essere competitivo nel quadro internazionale”.

Anche Giovanni Brugnoli, vicepresidente di Confindustria per il Capitale Umano, è intervenuto sulla questione dei titoli tecnico-scientifici. “Più giovani laureati in queste discipline sono una necessità per l’economia del futuro. L’istruzione senza una specializzazione in questi ambiti, non solo penalizza le imprese ma, spesso, favorisce la disoccupazione“. Secondo il tecnico di viale dell’Astronomia: “Non c’è dubbio che anche le lauree umanistiche accrescono la cultura dei nostri giovani e consentono sbocchi occupazionali, ma un eccesso di queste tipologie di laureati non è certo garanzia di futura occupazione”.

“Per il sistema di Istruzione e Ricerca serve un investimento straordinario nella prossima legge di stabilità” A dirlo è il segretario generale della Flc-Cgil, Francesco Sinopoli, alla luce dei dati Ocse diffusi nel rapporto ‘Uno sguardo sull’istruzione 2017’.”La scarsità dei finanziamenti sta radicalmente minando – aggiunge il sindacalista – l’efficacia del sapere, pregiudicando le opportunità di ragazze e ragazzi, di donne e di uomini, che non possono realizzare sogni e aspettative e non riescono a contribuire al benessere collettivo del paese. È ora di cambiare prima che sia davvero troppo tardi per tornare indietro”.

Articolo Precedente

Vaccini, genitori non presentano documenti all’asilo: primi casi di bambini non ammessi, tra ritardi e strategie no vax

next
Articolo Successivo

Scuole e rischio sismico in Abruzzo, “Bisogna abbatterle e rifarle da capo. Il resto è solo fumo negli occhi”

next