Il materiale elettorale per l’allestimento dei seggi è una delle principali preoccupazioni degli indipendentisti catalaniA due mesi dall’attesa consultazione che – nelle intenzioni dei secessionisti – dovrebbe conferire ufficialità al passaggio della Catalogna da regione a Stato, i bandi per l’acquisto di urne sono un grattacapo di difficile soluzione.

Una deliberazione o una semplice previsione di spesa per rendere possibile il referendum proclamato il 1 ottobre produrrebbe due effetti: farebbe scattare immediati controlli di una commissione costituita dal governo del conservatore Rajoy, determinerebbe un intervento dell’apparato inquirente della Corte dei Conti.

Da tempo, il ministero delle Finanze ha acceso i riflettori sulla spesa pubblica catalana, da pochi giorni l’attività ispettiva si è fatta più intensa: l’esecutivo di Madrid ha costituito, per decreto, una speciale commissione con una sola funzione, il controllo settimanale sui possibili fondi che la Generalitat (il governo regionale) potrebbe destinare all’organizzazione della consultazione.

Una sfida politica ritenuta tanto sfrontata da meritare controlli preventivi. Così, revisori dei conti e responsabili dei dipartimenti economici degli enti operanti in Catalogna saranno tenuti a certificare al ministero delle Finanze di Madrid di non aver messo a bilancio un solo euro per l’acquisto di materiale per il referendum.

Un’attività di vigilanza che ha il sapore di un avvertimento, i funzionari che daranno impulso al processo referendario saranno passibili di azioni disciplinari e potrebbero rispondere dei loro atti innanzi alla magistratura contabile.

È già successo. I cinque milioni di euro spesi per l’organizzazione del controverso referendum consultivo del 9 novembre 2014 sono finiti sotto il mirino del Tribunal de Cuentas che, dando seguito all’esposto di tre associazioni civiche – tra queste “Abogados catalanes por la Constitución” – ha messo sotto accusa per danno all’erario Artur Mas, ex presidente della Generalitat, e tre suoi consiglieri. La pressione è asfissiante.

Il procuratore generale dello Stato, José Manuel Maza, ha affondato un altro coltello dentro una ferita già sanguinante, assicurando che in caso di acquisto delle urne verrà aperto un fascicolo penale per malversazione, tesi già avallata dalla Corte Costituzionale in recente sentenza di inizio luglio.

Un’intricata rete di sbarramenti burocratici che riduce gli spazi per i sostenitori del Catalexit, tanto che in queste ore i partiti indipendentisti hanno dovuto ricorrere a un artificio deliberativo per avviare la macchina organizzativa referendaria. Il dipartimento governativo della Generalitat ha pubblicato nella gazzetta ufficiale la risoluzione per l’acquisto, per una cifra vicina ai 900mila euro, di materiale elettorale.

Un bando surreale che richiama una generica fornitura per elezioni al Parlamento catalano, il cui rinnovo è in verità ben lontano. “Non si dicono mai tante bugie quante se ne dicono prima delle elezioni, durante una guerra e dopo la caccia” amava ripetere Georges Clemenceau, politico francese della III Repubblica, nella realtà un tortuoso percorso burocratico che consentirà di celebrare un referendum che la Spagna non riconosce. Con uno scenario sullo sfondo del tutto imprevedibile.

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