Capisce di aver toccato il fondo quando, durante l’ultima esibizione con la sua storica band, i Ritmo Tribale, sconvolto sotto l’effetto dell’eroina, vomita in faccia al batterista per un gesto che più punk non si può. Da quel momento – siamo nel 1996 – Edda, nome d’arte di Stefano Rampoldi, decide di abbandonare il gruppo e porre fine alla sua esperienza nel mondo della musica mainstream.

Ma dopo anni di silenzio, ben 12, arriva l’ennesimo colpo di scena: intraprende un percorso da solista che lo porta a pubblicare quattro dischi, l’ultimo uscito da poco più d’un mese intitolato Graziosa Utopia. Un album composto da dieci brani, che Edda definisce “di musica leggera”, con ottime orchestrazioni e arrangiamenti raffinati.

E il tema principale affrontato, come un vero disco pop che si rispetti, non poteva che essere l’amore in tutte le sue declinazioni, soprattutto quello tragico. La graziosa utopia, invece, che dà il titolo all’album è “la più grande rivoluzione che l’uomo possa ambire a realizzare”: un ritorno all’essere spirituali partendo da se stessi, “cambiando in meglio ognuno di noi”.

Durante l’ultimo concerto con i Ritmo Tribale, hai vomitato in faccia al batterista e subito dopo hai messo fine alla tua esperienza con la band. Un gesto molto punk.
Ero completamente fatto, non riuscivo neanche a cantare quella sera: è stato l’unico concerto in cui ho avuto una performance del genere. Però non ricordo questo particolare del vomito in faccia ad Alessandro, quel che è certo è che è stato l’inizio della fine. Sarà stato anche un gesto punk, però povero Alessandro. Fu un concerto tragico, per cui può esser successo di tutto.

Perché rappresentò la fine?
Per farla breve, fu a causa dei miei problemi con l’eroina. In quel periodo avevo scelto di fare il tossico. Dopo quel concerto ho preso quella decisione. Poi ho fatto marcia indietro, ovviamente.

Ti sei mai pentito di quella scelta?
Mi pento di aver messo fine alla mia esperienza col gruppo in quel modo. Sicuramente. Avremmo potuto andare avanti oppure chiudere in un’altra maniera. È stato uno sbaglio grosso che ho fatto.

Se potessi tornare indietro qual è il consiglio che ti daresti?
Non ti bucare prima di un concerto, è la regola numero uno.

Cosa avresti fatto se non fossi diventato un cantante?
Avrei optato per la santità. Sarei diventato un devoto di Hare Krishna. Sono 34 anni che ho sposato questa filosofia e seguirla è l’unica cosa che ho fatto con una certa costanza Avrei potuto anche fare l’hooligan, essere un fan dell’Inter, però mi viene più congeniale seguire la mia indole religiosa.

Credi in Dio?
Mi è ancora più difficile non crederci. Se credessi in Dio sarei molto più serio, però non credo che non esista.

Hai detto: “Alla fine la più grande rivoluzione che un uomo può fare è quella di cambiare se stesso in meglio ed è anche la più difficile da realizzare, al punto di divenire quasi una graziosa utopia”.
Sono arrivato a un momento della vita in cui è più importante scegliere di essere essenziali, evitando il superfluo e quindi di finire all’inferno. Io vorrei trasformare la mia coscienza da materialista a spirituale, perché sennò prima o poi in qualche vicolo buio ci finisci. Perché se pensiamo che veniamo al mondo per godere della vita… c’è chi per godere ha messo su il Terzo Reich. È molto difficile capire quello che dobbiamo fare, dunque è importante scegliersi i propri maestri. Io ho scelto Krishna.

Da qui hai estrapolato il titolo del tuo ultimo disco Graziosa Utopia.
Non sono uno che scrive canzoni per dire cose, faccio un disco principalmente per cantare e per Graziosa Utopia volevo scrivere delle canzoni belle che suonassero bene. Confesso che la cosa che più mi interessa è la musica, infatti quando scrivo una canzone prima di tutto arriva la melodia.

Poi arriva la fase della ricerca delle parole da inserire in un brano.
C’è una sensazione che mi provocano le parole che è legata alla musica. Quando scrivo un brano mi trovo in un certo stato d’animo per cui ho bisogno di trovare le parole adatte che corrispondano a quello stato e che non stonino con la melodia che trovo. E questo non è affatto facile perché dipende dall’ispirazione.

L’ispirazione, secondo te, può essere controllata?
Può essere tutt’al più allenata: puoi metterti lì tutti i giorni ad aspettare che arrivi qualcosa. Però, sono convinto, quando arriva è perché qualcuno te la manda. Sennò i Beatles avrebbero continuato a scrivere altri 20 dischi come han fatto nei primi dieci anni di carriera, gli Who avrebbero pubblicato altri album come Quadrophenia. Invece no: l’ispirazione arriva, ma se ne va anche. Lo stesso Battisti una volta disse durante un’intervista che non gli venivano più le canzoni di una volta.

Certo è che è più difficile essere ispirati quando si ha la pancia piena…
Sì, può dipendere anche da questo motivo. È per questo che io posso continuare ad andare avanti per un po’. Infatti avrei già pronto un altro disco con canzoni che mi piacciono molto. Finché non arriva il successo mi sa che continuerò a scrivere.

Ho letto che ambisci a diventare famoso come Calcutta.
Avrei potuto dire anche i Pooh o Cristina D’Avena, però mi piace la musica di Calcutta, il suo essere “nazionalpopolare”. Sta avendo successo, ho molto rispetto per questo ragazzo, perciò ho detto quella frase.

Hai anche affermato che se diventassi ricco perderesti tutto subito dopo.
Sì, andrei da mio padre che mi consiglierebbe subito di fare un paio di investimenti sbagliati.

Una domanda per rockers consumati: per cosa hai buttato più soldi in vita tua?
Sicuramente in droga, poi in dischi e strumenti musicali. Adesso li spendo in cibo perché devo mangiare.

La prima traccia, Spaziale, è una sorta di tuffo nel passato della musica leggera italiana degli anni 60. Nel modo di cantare imiti addirittura Mina.
L’imprinting che ho avuto è quella musica lì. Sono nato nel 63 e, prima di ascoltare i dischi degli Who a 13 anni, ho ascoltato la musica leggera italiana, le canzoni di Luigi Tenco, di Mina. Impazzivo per quelle canzoni che mi facevano compagnia da bambino. Ed ero un gran fan soprattutto di Edoardo Bennato, anzi forse è grazie a lui che sono diventato un cantante. Però è vero, in Spaziale cerco di imitare Mina.

Qual è il primo disco che hai acquistato?
Ora non ricordo il titolo però era un disco di Suzie Quatro. Lo comprai perché venni attirato dalla copertina.

E qual è il primo concerto a cui hai assistito?
Credo sia stato un concerto di Angelo Branduardi quando avevo 14 anni, era appena uscita La fiera dell’est. Subito dopo andai a vedere Patti Smith a Bologna.

Chi era invece il tuo artista di riferimento quando hai iniziato a cantare?
Demetrio Stratos, un grande che riusciva a cantare con una tecnica particolare fatta di gorgheggi. Mi piaceva molto.

Le canzoni di Graziosa Utopia parlano di amori tragici e hanno una particolarità: sono tutte declinate al femminile.
Mi piace pensarmi donna. Sarei uno strano omosessuale io, nel senso che vorrei essere una donna, ma poi non andrei con gli uomini ma con le donne. Sono eterosessuale, ma sentirmi uomo mi dà fastidio. Mi sono sempre trovato meglio con le donne. Nei maschi ricerco qualità che sono femminili.

E il nome Edda da cosa deriva?
È il nome di mia madre ed essendo nata nel periodo del fascismo le diedero quel nome in onore della figlia del duce.

Politicamente che idee hai?
Idee sante. Io voglio San Francesco come primo ministro d’Italia. Se si presenta lui lo voto, tutto il resto non mi interessa. Dove vivo, qui a Bibiena in provincia di Arezzo, di fronte casa mia c’è un monte con un santuario in cui lui ha vissuto.

Qual è la tua graziosa utopia?
Riuscire a tornare a essere esseri spirituali, cambiando in meglio ognuno di noi.

Articolo Precedente

Il videomessaggio di Ligabue ai fan: “La voce c’è, l’operazione alle corde vocali è riuscita”

next
Articolo Successivo

Cantautori e letteratura, finalmente un canone per la canzone italiana?

next