Avere tra le mani una proposta di contratto oltreoceano nel miglior posto dove potere svolgere il proprio lavoro ma esitare nell’accettare. Temporeggiare e cercare lavoro in Italia, “perché non è facile mettere tutto in valigia ed essere lontani da casa, specialmente per una ragazza che lavora in un settore prettamente maschile”. Ricevere risposte spiazzanti, dal mondo italiano, come “sei troppo qualificata”, oppure “il tuo curriculum è impressionante ma al momento non abbiamo posizioni adeguate”. Ed è così che Livia Casali ha dovuto mettere in valigia il proprio 110 e lode in fisica nucleare e subnucleare, dire addio ai colli romani e muoversi verso la California.

Dal giardino di casa, a San Diego, riesce a scorgere in lontananza l’oceano. Ogni mattina la 31enne romana varca la porta della General Atomics, sede di uno dei più importanti laboratori al mondo dove si sperimenta la fusione nucleare per la produzione di energia pulita. “Sono entusiasta di contribuire a una delle più grandi sfide tecnologiche del secolo, che mira a riprodurre sulla terra ciò che fa brillare le stelle”. Nello studio statunitense, ricercatori di tutto il mondo lavorano per realizzare il sogno dell’indipendenza energetica. “E questo grazie anche alla mia formazione italiana”. Poi, il tono diventa più nostalgico. “Sarebbe bello fare le stesse cose anche nel nostro Paese, che ben ci prepara e allo stesso tempo ci forza ad emigrare”.

“Sarebbe bello fare le stesse cose anche nel nostro Paese, che ben ci prepara e allo stesso tempo ci forza ad emigrare”

La formula è quella nota a molti ricercatori del Belpaese. Un’eccellente formazione universitaria invidiata all’estero e poi i problemi che iniziano ad accumularsi una volta conseguita la laurea: “mancanza di fondi per la ricerca”, un sistema meritocratico “sicuramente più praticato all’estero che in Italia” e l’innesco di un meccanismo “dilagante e svilente” che costringe a fare le valigie. “Il problema dell’Italia è che dopo aver tanto investito sugli studenti, li lascia andare perché non offre posti di lavoro. Cosa può esserci di più insensato? Uno Stato che investe sulle persone senza poi vederne i frutti?”. Scorrendo i nomi dei compagni universitari, infatti, il bilancio è inequivocabile, visto che “in pochi sono riusciti a rimanere in Italia, molto pochi”.

Premiata nel 2014 dalla Società italiana di fisica e, nello stesso anno, anche dalla Società europea di fisica, Livia Casali ha voluto entrare in un mondo prettamente maschile. E lo ha fatto senza scegliere di dire addio, i primi anni, neppure agli altrettanto impegnativi studi di danza classica, tanto che i libri universitari e gli allenamenti per avere il diploma al Conservatorio Coreutico sono andati di pari passo almeno fino ai 23 anni. “Dalla danza ho appreso qualità fondamentali per la ricerca scientifica come perseveranza, passione, precisione, impegno e creatività”. Perché Livia, pur ammettendo di non essersi mai sentita discriminata in quanto donna, riconosce che la sua storia è un po’ più complicata a causa del suo sesso. Andando oltre gli stereotipi, e pur vero che “le donne hanno il maggior carico di lavoro famigliare”. Ed essere una ricercatrice non è facile, tra ore interminabili in laboratorio e viaggi attorno al mondo, “ad essere sinceri, senza neppure grandi guadagni”. Tanto che “molte donne rinunciano alla vita accademica per la mancanza di un adeguato supporto nel raggiunge un equilibrio tra famiglia e carriera”.

Livia, pur ammettendo di non essersi mai sentita discriminata in quanto donna, riconosce che la sua storia è un po’ più complicata perché donna

Proprio per questo “vorrei che il mio percorso fosse da esempio” alle tante ragazze che stanno cercando di inserirsi in un settore maschile. “È possibile studiare fisica, è possibile ottenere risultati eccellenti, è possibile cambiare continente, è possibile anche essere premiate a livello internazionale”. Le sue scelte Livia, come quelle di tante ricercatrici, le piace vederle come una possibile spinta per “fare crescere la fiducia nelle giovani donne: tutto si può fare se si ha passione e determinazione”. E così, con la realizzazione professionale in una mano e la mancanza di andare in bicicletta e mangiare cibo sano nell’altra, lo sguardo resta sempre diretto Oltreoceano. “Perché la speranza di tornare, quella ci sarà sempre”.

Articolo Precedente

“La mia vita da ricercatore a metà tra Italia e Germania: solo col confronto puoi migliorare”

next
Articolo Successivo

Ricercatore al Mit di Boston. “In Italia le uniche offerte di lavoro erano stage a 700 euro”

next