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Gse, il paradosso dei lavoratori in appalto ad Almaviva

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Con le attuali regole il lavoro ‘in appalto’ è una vera e propria piaga sociale. Le crisi occupazionali si susseguono una dietro l’altra. Tanta confusione, nessuna soluzione politica se non una mera gestione dell’emergenza. Adesso tocca ai lavoratori del contact center della Gse (Gestore dei Servizi Energetici Spa), società controllata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze. Dal 21 febbraio 2017 i lavoratori (circa 100) hanno aperto lo stato di agitazione perché rischiano di perdere il lavoro in conseguenza dell’assegnazione della gara per la gestione del servizio ad Almaviva Contact. Il 30 e il 31 marzo terranno due presidi, uno presso la sede della società del Gse e uno presso il Ministero dello Sviluppo Economico (Mise).

Quanto denunciato dai lavoratori è veramente paradossale. In piena crisi occupazionale generata dai cambi di appalti e dalla logica delle gare al massimo ribasso, uno dei più importanti ministeri affida il servizio ad un’altra impresa mettendo conseguentemente in difficoltà i lavoratori assunti dalla società di cui è socio unico. A rendere ancor più discutibile il trasferimento della commessa la circostanza che l’aggiudicatrice è Almaviva Contact, la società che a dicembre del 2016 ha attuato il più grande licenziamento collettivo degli ultimi quaranta anni (1666 lavoratori).

L’appalto è stato attribuito ad Almaviva Contact – evidenziano i lavoratori nei comunicati da cui sono state ricavate tutte le informazioni sul caso – con il vincolo di assorbimento del personale attualmente addetto al servizio.

Il personale manterrà effettivamente il posto di lavoro? In che modo? Probabilmente in virtù della ‘clausola sociale’. Qui tutti i nodi vengono al pettine. Anzitutto la clausola sociale mostra la sua vera natura, nel senso che rischia di divenire un mezzo per consentire, ovvero facilitare, il trasferimento di lavoratori a basso costo creando una sorta di guerra tra poveri (come già da me preannunciato): via i lavoratori adibiti alle commesse precedenti e spazio ai nuovi.

In pratica, i lavoratori diventano delle pedine da spostare da una società ad un’altra alla stessa velocità con cui avvengono i frenetici cambi di appalto. Un livello di precarietà esistenziale a norma di legge (vedremo con quali limiti) che non ha precedenti. Quel che spesso si tralascia di dire – ed è uno dei motivi per cui i lavoratori decidono di protestare – è che il passaggio da una società ad un’altra consente di derogare ad alcuni diritti che i lavoratori avevano maturato presso il precedente datore di lavoro. Ad ogni passaggio si rischia di perdere qualcosa di importante, insomma.

Le responsabilità politiche sono enormi. E’ questa la visione di lavoro dell’attuale governo?

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