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Mala del Brenta, sequestrato il tesoro accumulato dall’ex boss Felice Maniero

La Guardia di Finanza sta eseguendo un decreto di sequestro preventivo di beni e disponibilità finanziarie che, secondo le indagini, rappresentano il patrimonio criminale di 'Faccia d'angelo'. L'ex boss fino alla fine degli anni novanta avrebbe accumulato circa 33 miliardi di lire
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Gestivano il patrimonio criminale accumulato da Felice Maniero, l’ex boss della Mala del Brenta, acquistando immobili di pregio e mascherando l’origine illecita del denaro attraverso i loro rapporti finanziari. Questa l’accusa che ha portato gli uomini del Nucleo di polizia valutaria della Guardia di Finanza ad eseguire un decreto di sequestro preventivo di beni e disponibilità finanziarie che, secondo le indagini, rappresentano il tesoro di Maniero. Il provvedimento, chiesto dalla Direzione Distrettuale Antimafia (Dda) di Venezia, riguarda una serie di soggetti accusati a vario titolo di riciclaggio di proventi illeciti e intestazione fittizia di beni. Emessa dal gip anche un’ordinanza di custodia cautelare in carcere.

Le indagini, partite circa un anno fa, hanno individuato alcuni prestanome, riconducibili alla famiglia del boss, che avrebbero gestito il patrimonio accumulato da Maniero fino alla fine degli anni Novanta: circa 33 miliardi di lire dell’epoca. Maniero, soprannominato ‘Faccia d’angelo‘, è stato capo dell’associazione criminale di stampo mafioso denominata ‘Mala del Brenta’, che dagli anni Settanta per due decenni ha terrorizzato il Nordest del Paese. Nel giro di pochi anni dalla sua nascita, l’associazione si è resa protagonista di rapine, sequestri di persona, omicidi e anche traffici di droga e armi a livello europeo.

Arrestato per la prima volta nel 1980, Maniero sarebbe successivamente evaso due volte: nel 1987 fuggì dal carcere di Fossombrone, nel giugno 1994 da Padova. Dopo l’ultima cattura, a Torino, decise nel 1995 di diventare collaboratore di giustizia. ‘Faccia d’angelo’ aveva subito una condanna definitiva a 17 anni di reclusione: 11 anni per associazione a delinquere di stampo mafioso, con rapine, traffico di droga e sequestri, e 14 anni per sette omicidi, dei quali il boss ne ha riconosciuti solo cinque. Lo status di collaboratore gli valse il vantaggio del cumulo delle pene: dal 22 agosto 2010 è tornato in libertà, con una nuova identità, dopo la scadenza dell’ultima misura restrittiva nei suoi confronti.

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