L’approvazione lampo dell’ultima legge di Bilancio non ha affatto chiuso la partita dei bonus e degli altri contributi di sostegno alle famiglie. Ora la palla passa al governo Gentiloni, che dovrà varare i necessari decreti attuativi. C’è tempo solo fino a fine dicembre per rendere realtà il bonus asilo da mille euro l’anno per tutti i bambini nati dall’1 gennaio 2016, fino a tre anni di età. Altra scadenza fra circa tre mesi: riguarda il decreto per il funzionamento del Fondo di sostegno alla natalità che consentirà ai nuclei con figli di ottenere più facilmente prestiti o mutui. C’è da sperare che il nuovo esecutivo faccia meglio e più in fretta di quello guidato da Matteo Renzi, che in molti casi non ha tradotto in pratica le promesse messe nero su bianco nelle precedenti leggi di Stabilità. Nel 2016 hanno beneficiato del voucher baby-sitter solo 7.100 mamme, e quello per le lavoratrici autonome, sbloccato solo a fine ottobre, resta inattuato. Il bonus alle famiglie numerose è arrivato (dimezzato) dopo un anno e mezzo, mentre la Carta famiglia resta una chimera.

VOUCHER BABY SITTER A POCO PIU’ DI 7MILA MAMME. AUTONOME A BOCCA ASCIUTTA – Con la legge di Bilancio per il 2017 è stato rinnovato il voucher baby sitter di 600 euro per sei mesi in alternativa al congedo parentale per il padre, che viene confermato e l’anno prossimo sarà di due giorni. Il congedo obbligatorio è stato introdotto nel 2013 e consisteva in un solo giorno. Nel 2015 è stato utilizzato da 70mila papà, solo il 14% del totale. Ma quanti hanno usufruito finora del voucher baby sitter? Stando ai dati Inps, nel 2015 sono state inoltrate 7.123 domande, mentre nel 2016 le richieste sono state 7.253. Due gli intoppi. Intanto già a luglio l’Inps ha comunicato di aver terminato i 20 milioni a disposizione per quest’anno e che sarebbe stato inutile inoltrare altre domande online, perché non sarebbero comunque state accettate. Il secondo problema ha riguardato la possibilità di trasformare il congedo parentale in voucher per il pagamento di baby sitter o asili nido anche per le lavoratrici autonome fino all’esaurimento dei 2 milioni di euro di risorse messe a disposizione. In seguito al decreto ministeriale del 1 settembre 2016, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 27 ottobre 2016, il beneficio è stato poi esteso anche alle lavoratrici autonome, ma di fatto i ritardi nell’emanazione del decreto attuativo hanno bloccato la presentazione delle domande.

IL NODO DEI DECRETI ATTUATIVI – Se, infatti, da gennaio si aprirà la partita dell’attuazione della legge di Bilancio 2017, per quella dello scorso anno sono ancora 71 i decreti attuativi (del Presidente del Consiglio e dei singoli ministeri) che restano sospesi. Una trentina sono quelli scaduti. Ma considerando tutta l’era del governo Renzi i decreti in attesa sono circa 400, a cui vanno aggiunti quelli dei precedenti governi Monti e Letta, ereditati dal premier dimissionario. I ritardi non hanno riguardato solo i voucher baby sitter. Un altro provvedimento accantonato è quello del Fondo al coniuge in stato di bisogno per l’assegno di mantenimento che sarebbe servito per anticipare l’assegno che l’ex marito o ex moglie inadempiente avrebbe poi dovuto restituire. Anche in questo caso l’assenza del decreto non ha mai fatto partire la sperimentazione.

BONUS BEBÈ: IL RISCHIO CHE DISINCENTIVI IL LAVORO FEMMINILE – Nella manovra approvata in tempi record il 7 dicembre è stato confermato anche il bonus bebè: 80 euro al mese per tre anni per i bimbi nati in famiglie con Isee sotto i 25mila euro lordi l’anno, 160 euro al mese per i nuclei con Isee inferiore ai 7mila euro. Per quanto riguarda l’assegno di natalità, legando il cosiddetto bonus bebè all’Isee la platea di beneficiari stimata per il 2015 sarebbe passata da 415mila a 330mila. Secondo i dati forniti dall’Inps a ilfattoquotidiano.it ne hanno beneficiato 238.309 famiglie nel 2015 (pari a circa il 49% dei circa 480mila nuovi nati), 188.433 per il 2016. Nel 2015 le risorse maggiori sono andate al Sud, dove i redditi sono più bassi e le donne lavorano di meno. Infatti se nelle famiglie in ci sono due stipendi è più facile che si superi il limite dei 25mila euro di reddito Isee e questo può disincentivare il lavoro femminile.

IL CASO DEL BONUS FAMIGLIE NUMEROSE DIMEZZATO E IN RITARDO DI 20 MESI – Il bonus famiglie numerose (con quattro o più figli e un Isee inferiore a 8.500 euro) è stato introdotto nel dicembre 2014, grazie a un emendamento alla legge di Stabilità 2015, eppure per oltre un anno e mezzo è rimasto solo sulla carta. Per poi arrivare a destinazione dimezzato. Nella legge di Stabilità non era precisato l’importo dei buoni, ma se ne demandava la determinazione a un decreto del presidente del Consiglio dei Ministri. Adottato il 24 dicembre 2015, dunque un anno dopo, il decreto in questione ha fissato in 500 euro (in aula si era parlato di mille euro) l’importo di ciascun buono. A luglio scorso, dopo quasi venti mesi, l’Inps ha pagato, spendendo in tutto 20,5 milioni di euro: neppure la metà dei 45 milioni stanziati. Questi dati sono stati comunicati a metà settembre dall’allora ministro Giuliano Poletti in un question time alla Camera, rispondendo a un’interrogazione presentata dai deputati Mario Sberna e Gian Luigi Gigli (Democrazia Solidale-Centro Democratico). “Intanto i beneficiari dovrebbero essere 78mila – ha detto Sberna a ilfattoquotidiano.it – e, anche in questo caso, i ritardi sono legati ai decreti attuativi dato che quello per il bonus alle famiglie numerose doveva arrivare già a marzo. Su questo punto stiamo preparando una nuova interrogazione”.

LA CARTA FAMIGLIA NON PERVENUTA – Non è andata certo meglio, anzi, sul fronte della Carta famiglia, la cui istituzione è stata approvata dal Parlamento nel 2015 con emendamento alla legge di Stabilità del 2016. La carta è destinata alle famiglie con almeno tre figli minori ed è disposto che venga rilasciata (in base all’Isee) con decreto del ministro del Lavoro e delle Politiche sociali. Dà accesso a sconti sull’acquisto di beni o servizi e ad abbonamenti per servizi di trasporto, culturali, sportivi, ludici e turistici. “Esiste in Francia dal 1970 – ricorda Sberna – ma c’è anche in diversi Paesi europei e non ha costi per lo Stato”. Cosa è successo? “Bisognava predisporre un regolamento entro il 31 marzo 2016, per stabilire come i Comuni dovessero distribuirla (con il costo di un paio di euro a carico dei cittadini), ma nulla è stato fatto”.

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