“Natale inFOIAti”: dalla trasparenza burocratizzata all’agenda digitale al palo, ecco il triste cinepanettone sul digitale italico. Il 23 dicembre, anche quest’anno, gli italiani avranno il loro racconto di Natale.

C’è chi per tradizione va al cinema con famiglia, figli e suocera al seguito per l’immancabile commedia a sfondo natalizio, c’è chi parte per mete più o meno esotiche e poi delizia gli amici di Facebook con il minuzioso resoconto fotografico di escursioni e abbuffate, e poi c’è chi maldestramente tenta di riciclare per gli italiani “vecchi pacchi” mettendo in scena l’ennesimo storytelling sull’innovazione digitale.

Il pacco digitale di quest’anno è stato pensato per noi con netto anticipo (addirittura con il D.Lgs. 25 maggio 2016, n. 97), ma per l’occasione è stato incartato e consegnato oggi con una elegantissima carta lucida, adornato con un grande fiocco rosso e corredato del classico bigliettino con dedica: Agli Italiani, ecco a voi il FOIA… State sereni!

Effettivamente, a prima vista, potrebbe sembrare proprio una bella novità, peccato però che oltre la patinata presentazione, il “FOIA 2016” rappresenti un pacco poco gradito rispetto alla disciplina sulla trasparenza introdotta nel 2013.

A ben guardare, infatti, con la riforma della trasparenza che ha anche introdotto il FOIA (nelle intenzioni della common law da leggersi come Freedom of Information Act, ma nella migliore tradizione italiana come inFOIA) le cose sono cambiate, e se grazie agli obblighi di pubblicazione più importanti (relativi, ad esempio, al bilancio, al conferimento di incarichi di collaborazione o consulenza, alla scelta del contraente per l’affidamento di lavori, forniture e servizi, ai rendiconti dei gruppi consiliari regionali e provinciali, etc) i cittadini potevano, sino ad oggi (secondo quanto originariamente previsto dalla prima, vera riforma sulla trasparenza contenuta nel Decreto Legislativo 14 marzo 2013, n. 33), esercitare un controllo sull’utilizzo delle risorse economiche tramite un semplice accesso alla home page del sito web dell’ente pubblico, da domani invece impazziranno nei meandri di immensi database pubblici a cui si riferiscono i link per reperire i dati in questione.

Del resto, quando è troppo è troppo: l’ente pubblico non può essere trasparente in modo così irriverente! E allora con la scusa di far di più e di essere in linea con il FOIA a livello internazionale, si è colta subito l’occasione per ridimensionare la trasparenza (obbligatoria) on line per le pubbliche amministrazioni e imbrigliarla tra i nastri colorati di un pacco natalizio.

Se a questo sommiamo il disorientamento che sarà generato dalla possibile attivazione di tre diverse “tipologie di accesso” (ex lege 241/90; diritto di accesso civico per i dati di pubblicazione obbligatoria ai sensi della disciplina sulla trasparenza; accesso civico ai sensi del nuovo FOIA), l’impressione, non esattamente gradevole, che se ne ricava è che questa sbandierata “casa di vetro” della pubblica amministrazione abbia tende molto pesanti. Infatti con questa incredibile e opaca riforma, da un lato si ribadisce la necessità di promuovere la cultura dell’amministrazione aperta tra dipendenti pubblici e cittadini, dall’altro si infilano in successione una serie di eccezioni all’accesso generalizzato ai sensi del FOIA che, sovrapponendosi alle ipotesi di diniego ex lege 241/90, potrebbero avere un clamoroso effetto frenante.

Purtroppo, neanche le Linee guida in fase di predisposizione da Anac sembrano idonee a fornire un valido orientamento (come ANORC e altre associazioni hanno avuto modo di puntualizzare durante la consultazione pubblica): le stesse, infatti, mancano di sufficienti esemplificazioni circa dati, documenti e informazioni a cui non è stato possibile accedere in passato e che, invece, potranno essere ora oggetto di accesso generalizzato. Altra incoerenza palese: nelle Linee guida si prevede che ogni ente tenga un registro delle richieste di accesso presentate, ma non si impone la pubblicazione on line di tale registro sul sito web dell’Ente; potrebbe dunque paradossalmente verificarsi che i cittadini ne possano conoscere il contenuto solo dopo aver effettuato una richiesta di accesso!

Questo non è certo migliorare la normativa italiana sulla trasparenza, questo è affidare il diritto e la libertà dei cittadini a lacciuoli burocratici e procedure contorte. In un’epoca digitale, invece, la trasparenza si dovrebbe ottenere online, sempre e in ogni caso e quindi sarebbe stato sufficiente rafforzare i doveri di trasparenza on line già presenti nel D. Lgs. 33/2013 (che – lo ribadisco – sono risultati invece palesemente indeboliti con l’introduzione del (in)FOIA italiano).

Ma come ogni anno, oltre al pacco riciclato, a Natale c’è anche il cinepanettone!

La sceneggiatura di quest’anno descrive l’ennesima disavventura dell’Agenda digitale italiana: ahimè scarsa di profili ironici, ma come sempre esemplificativa della triste e perdurante mancanza di una governance strategica sui temi del digitale.

Il commissario straordinario Diego Piacentini, infatti, dopo la nomina – assai poco trasparente – del suo Team per la Trasformazione Digitale (prima annunciata con un tweet e poi resa pubblica nel sito teamdigitale.governo.it), ha esordito nel suo compito di proporre le sue strategie per l’Agenda digitale italiana criticando alcuni passaggi richiesti per il rilascio del passaporto elettronico e, in particolare, la necessità di presentare una doppia foto cartacea del richiedente… peccato però che – come nel più classico colpo di scena di qualsiasi gag cinematografica – non abbia considerato che questo sia un requisito imposto dalle regole dell’area Schengen (ma anche in Usa, Australia, etc.)!

Nel film in questione – che i cinefili avranno già collocato nel genere “grottesco” – la scena comica prosegue poi con l’inquadratura sulla nuova disciplina della fatturazione elettronica B2B, dove la sovrapposizione di disposizioni e la scarsa chiarezza degli interventi sta disorientando – e non poco – gli addetti ai lavori.

Il Natale 2016, dunque, anche quest’anno ci consegna un amaro quadro dell’Agenda digitale italiana, ancora priva di valide strategie (anche a causa del pasticcio di ripartizione di competenze tra AgID e il Commissario straordinario), ma che si appresta a festeggiare con immotivato entusiasmo l’ennesima – dubbia – riforma.

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