Misure insufficienti a sostegno della famiglia, con benefit che “non compensano i costi sostenuti per crescere i figli” e asili nido “disponibili su scala limitata e in modo policy performancemolto variabile a seconda delle regioni”. Risultato, inevitabilmente, una “limitata partecipazione delle donne al mercato del lavoro“. E ancora: politiche troppo deboli per affrontare il problema dell’inclusione sociale e della povertà, “particolarmente serio per le famiglie giovani, specialmente nei casi in cui solo degli adulti è occupato”. Pensioni in molti casi “estremamente basse”, nell’ambito di un sistema che rischia di diventare insostenibile considerato “l’elevato tasso di disoccupazione giovanile“. Inoltre, la corruzione “continua a essere un fattore chiave che mina la qualità della pubblica amministrazione. Le distorsioni che produce nei servizi pubblici e nell’economia ostacolano la modernizzazione. Il governo deve fare di più per risolvere questo problema”. E’ il quadro relativo all’Italia delineato dal rapporto 2016 sulle Performance delle politiche e capacità di governance nell’Ocse e nella Ue della Fondazione Bertelsmann, i cui contenuti sono stati anticipati in parte da La Stampa.

“Per ampie fasce di popolazione impoverita nessuna protezione sociale” – La classifica sulle “performance delle politiche”, che aggrega i dati su sviluppo economico, protezione ambientale e, appunto, politiche sociali, vede la Penisola piazzarsi agli ultimi posti: 32esima sui 41 Paesi Ocse considerati. Nelle tre dimensioni il punteggio raggiunto dall’Italia è rispettivamente di 5,4, 5,1 e 5,5, per una media di 5,3 contro i 5,98 punti della Slovenia, i 5,8 della Polonia, i 5,5 della Slovacchia. Davanti a noi anche Spagna, Malta e Portogallo, mentre sul podio ci sono i “soliti” Paesi nordici: Svezia, Danimarca e Norvegia. Gli Stati Uniti sono 26esimi, dietro la Germania (sesta), la Francia (18esima) e il Regno Unito (nono). Fanalino di coda la Grecia. Il report ad hoc dedicato all’Italia evidenzia tutte le debolezze di un sistema di protezione sociale che “non copre una larga parte di popolazione recentemente impoverita“. Benefit e detrazioni per gli individui a basso reddito “dovrebbero avere funzioni redistributive, ma hanno cessato di operare in questa direzione” a causa di “aumento delle aliquote e erosione dei benefit a causa dell’inflazione e prevalenza dell’evasione fiscale in alcune fasce di popolazione. Per di più, gli effetti redistributivi non raggiungono quella parte che guadagna meno del reddito minimo tassabile (i cosiddetti incapienti, ndr). Una politica efficace di riduzione della povertà richiede strumenti più estesi ed efficienti”.

Emergenza Neet e lotta all’evasione ancora insufficiente – Nuove politiche concepite per questi nuovi poveri “hanno iniziato a essere discusse”, concede il rapporto, “ma non sono ancora operative“. E deve ancora essere affrontato il problema della “ampia quota di giovani che non studiano e non lavorano (i cosiddetti Neet, ndr), in particolare nel sud Italia”. In generale, sottolinea l’introduzione, “per proteggere il Paese da choc esterni e assicurare la sostenibilità fiscale sarà necessario un approccio più bilanciato tra il consolidamento fiscale dei precedenti governi e le politiche espansive di quello di Renzi” e “è necessaria ulteriore modernizzazione e liberalizzazione dell’economia, mentre le recenti politiche familiari, sociali e industriali stanno iniziando solo ora a far sentire i propri effetti sulla crescita”. Dal rapporto emerge un giudizio positivo su misure come la riduzione dell’Irap, il Jobs Act e gli incentivi alle assunzioni a tempo indeterminato, ma sul fronte fiscale non mancano le critiche per la mancata riforma del catasto, “a dispetto delle ripetute promesse“, e l’ancora “insufficiente monitoraggio e lotta contro l’evasione, lontana dall’avere successo”. Uno dei problemi principali “è che il sistema provoca significative distorsioni a beneficio dei contribuenti infedeli”. Nonostante le misure varate dal governo, “serve una riforma più incisiva per aumentare l’equità orizzontale, ridurre gli ostacoli alla competitività e facilitare gli investimenti diretti esteri”.

“Personalizzazione della leadership, poco dibattito interno ai partiti” – L’Italia va un po’ meglio sul fronte della “qualità della democrazia“: in questa classifica, basata sugli aspetti “sostanziali e procedurali” del sistema esaminati in base a criteri come l’accesso all’informazione, i diritti civili e le libertà politiche e il rispetto delle norme, siamo al 23esimo posto su 41 Paesi, con un punteggio di 7,23. Questo nonostante il rapporto noti, per esempio, che la democrazia interna ai partiti “non è ben sviluppata” e “sembra difficile bilanciare una crescente personalizzazione della leadership e la difesa del dibattito interno“. Pesa inoltre il fatto che “le regole e i meccanismi legali e amministrativi per prevenire l’abuso della propria posizione da parte dei pubblici ufficiali” abbiano “un’efficacia dubbia”.

Per qualità della governance Italia 25esima. “Renzi non incline a rafforzare organismi di pianificazione” – A sorpresa, visto che di solito classifiche di questo genere vedono la Penisola arrancare, ci piazziamo poi 25esimi per “qualità della governance“. Ma la descrizione del sistema amministrativo è tutt’altro che rose e fiori. Il “concetto di pianificazione strategica non è particolarmente sviluppato nella cultura amministrativa e di governo italiana”, sentenzia la Fondazione Bertelsmann, “in parte perché i governi sono stati preoccupati soprattutto da problemi di coalizione e l’amministrazione è dominata da una cultura legalistica”. Tuttavia, “qualche progresso è stato fatto con gli ultimi esecutivi”: per esempio “all’interno della Presidenza del consiglio è stato creato uno speciale dipartimento guidato da un ministro senza portafoglio con il compito di supervisionare l’implementazione del programma di governo”, “la parte finanziaria della programmazione è più sviluppata perché il Tesoro deve implementare rigorosi obiettivi di budget con prospettiva triennale”. Resta il fatto che “il governo Renzi, caratterizzato da una forte personalizzazione della leadership, non sembra particolarmente incline a rafforzare il ruolo degli organismi di pianificazione strategica” e “importanti proposte di legge non beneficiano di un processo di consultazione istituzionalizzato, aperto e trasparente“. Il ruolo degli esperti esterni, prezioso secondo il rapporto, è “più consolidato presso i ministeri dell’Economia, della Cultura e del Lavoro”.

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