I buoni non fanno notizia, i cattivi sì. Ed allora ecco la news: nelle Ong il tempo dei buoni è finito, cercasi cattivi. Scordatevi l’approccio “caritatevole” (da cui il temine anglosassone charity). Scordatevi l’“assistenza” come fine. Scordatevi la “solidarietà” come cura di tutti i mali. Scordatevi i “poveri negretti”. Scordatevi “volontariato & gratuità”. Francesco Petrelli è fondatore e già presidente di Oxfam Italia e vecchio amico, come me blogger a tempo perso (sull’Huffington Post); sintetizzo alcuni suoi passaggi durante uno dei nostri aperitivi che scherzosamente chiamiamo “politici”:

“Per Oxfam, la povertà va interpretata come mancanza di potere‘. L’approccio non è la semplice ‘solidarietà internazionale’, ma lo Sviluppo Internazionale nei suoi tre pilastri: economico, ambientale, sociale. Le Ong devono essere efficaci nel creare sviluppo locale anche economico, restituire ‘potere’ agli attori locali (beneficiari). Fare mille progetti può non essere efficace, se non riusciamo a cambiare la politica, anche attraverso la pressione sui governi e la lobbying, perché cambino leggi, perché si crei una cultura diversa. Se le Ong non riprendono ad essere prima di tutto un soggetto politico’ perdono senso ed impatto”.

Purtroppo il non profit è stato a lungo considerato dai governi – anche della sinistra europea – come un ‘utile idiota’, su cui scaricare i costi del welfare (gli operatori del “privato sociale” costano molto meno dei dipendenti pubblici). Un “tappabuchi” di un sistema di welfare in ritirata. Ma nel momento in cui il non profit protesta, ‘dà voce’ e rende noti i bisogni insoddisfatti di chi non ha il potere di rappresentarsi e mette il dito nella piaghe sociali di governi e regimi, persino in Uk viene ricattato ebullizzato dal governo (Acevo, Association of the Chief Executive of Volunteering Organizations, Annual General Meeting, London, 2014). Lo si vuole “buono” e caritatevole, basta che non metta in discussione il sistema.

Kostantinos Moschochoritis, gia Msf e ora Direttore Generale di InterSos (la principale organizzazione umanitaria italiana, meno conosciuta ma con più storia e più grande di Emergency), nelle docenze nel Master Hope sulle emergenze umanitarie racconta delle faticose e pericolose mediazioni con i talebani in Afghanistan, per intenderci roba non certo da bonaccioni idealisti. Il successo di Greenpeace si deve molto al potenziale comunicativo delle sue azioni di rottura, che non sono per niente “bonarie” ed infatti fanno notizia. Molti hanno negli occhi l’attacco alle baleniere, la schiuma rossa di sangue, l’arrembaggio dei “pirati verdi” ( p.s. nel settore prendiamo un po’ in giro i colleghi di Greenpeace, sono dei ‘fissati’ – quando  loro manager si uniscono a noi per un aperitivo, gli chiediamo: “E dove hai parcheggiato la balena?”. Però funziona, e danno l’idea dello “spirito combattente” e non “buonista” che serve a chi lavora nel settore).

L’impatto maggiore spesso si ottiene con la denuncia più che con i progetti, attraverso capacità tecniche di analisi ed intervento, anche mettendo in crisi multinazionali come Volkswagen, come ho raccontato di recente in Non profit e campagne sociali: l’ong che ha smascherato VolkswagenNon solo combattendo la finanza, ma “diventando” finanza (sociale), non pietendo credito e finanziamenti in banca, con il cappello in mano per il supporto a progetti e beneficiari, ma incazzandosi e magari “creando una banca”, come raccontato in La Banca siamo noi – La finanza sociale cambierà il mondo? Per questo, a tutti i regimi, a molte multinazionali ed a molta politica, le Ong danno molto fastidio e sono sempre più osteggiate. Roberto Toscano lo ha raccontato benissimo su La Repubblica dell’8 maggio in ‘Da Putin a alla Cina ora i regimi processano le Ong, pressioni, visti ritirati (9000 licenze solo in India e sequestro dei fondi a Greenpeace).

Quindi, amici lettori, se volete lavorare nel settore, tirate fuori cattiveria, concretezza, provocazione intelligente, la voglia di “cambiare i giochi”. Non ci servite per aiutare le vecchiette ad attraversare la strada, ma per cambiare la viabilità e portare il “sistema” a gestire meglio il traffico. Facendolo cerchiamo la strada giusta per noi e ed il coraggio di percorrerla ma sapendo che realizzare il nostro sogno potrà dar fastidio a molti, e potremmo pagarne il prezzo.

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