“Il ministro Maria Elena Boschi ha ancora il latte sulla bocca. Che non parli di cose che non conosce”. Gino Bambara aveva 21 anni quando combatté, come partigiano, prima in Jugoslavia e poi in Italia. La Resistenza, quindi, l’ha vissuta sulla propria pelle. “Eppure al referendum per le riforme costituzionali voterò no, come il resto dell’Anpi. Significa forse che non sono un vero partigiano?”. Il riferimento è alle parole del ministro per le Riforme, che durante la trasmissione In Mezz’Ora ha dichiarato: “L’Anpi come direttivo nazionale ha preso una linea, poi dentro Anpi ci sono molti partigiani, quelli veri, quelli che hanno combattuto la Resistenza, non le generazioni successive, che votano sì alla riforma”. Una frase da polemiche, che il premier Matteo Renzi qualche ora dopo ha tentato in tutta fretta di smorzare: “La decisione dell’Anpi di votare No al referendum è del tutto legittima. Sulle parole del ministro Boschi non vedo né gaffe né polemiche”. E pure il ministro il giorno dopo ha ingranato la retromarcia, cercando di rimangiarsi le parole appena pronunciate: “Non mi sono mai sognata di dare patenti”. Oltre al comandante reggiano Germano Nicolini, l’ormai 97enne “Diavolo”, schierato per il sì, in Toscana altri cinque partigiani hanno aderito al comitato per il sì alle riforme, lanciato oggi dal segretario regionale del Pd Dario Parrini: Gennaro Borboni (Grosseto), Rolando Fontanelli (Empoli), Ilvio Milani (Piombino), Ugo Morchi (Empoli) e Giuliano Romagnoli.

“Ma è difficile dimenticare che solo qualche giorno fa – dicono dall’Anpi – sempre la Boschi ci paragonava a Casa Pound”. Ciò che ha detto il ministro, sottolinea Carlo Smuraglia, presidente dell’associazione nazionale partigiani, che pure combatté nel Corpo italiano di liberazione, più che una gaffe, “è improponibile”.

“A parte il fatto che i problemi italiani non derivano dalla nostra Costituzione ma da altre ragioni, come l’amoralità, o immoralità, della nostra classe dirigente – precisa Laura Fabbri Wronowski, partigiana e nipote di Giacomo Matteotti – bisogna smetterla di chiamare in causa la Resistenza per infarcirla di retorica. Noi che abbiamo combattuto per la libertà non siamo appannaggio del Partito Democratico”. Anche il partigiano Laura, questo era il suo nome di battaglia, al referendum voterà ‘no’, “e non perché sono contraria all’idea di riformare la Costituzione, è stata scritta in un’altra epoca e qualcosa andrebbe aggiornato, come il Senato. Ma con calma, senza agitazione, senza scannarsi. La svolta presidenzialista che il pacchetto Renzi-Boschi tenta di far passare, invece, è un disegno che di nuovo non ha nulla, anzi ci riporterebbe indietro nel tempo, e noi come paese non vogliamo un nuovo regime”.

A pensarla come lei, oltre all’Anpi come associazione, anche molti dei 5.000 partigiani ancora in vita che durante la Seconda Guerra Mondiale combatterono il nazifascismo. Come Armando Gasiani, nome di battaglia Bolero, o Aude Pacchioni, presidente della sezione modenese dell’associazione, che ai tempi della Resistenza era per tutti Mimma. “Se il ministro Boschi parla così significa che non conosce bene i partigiani. Qui, peraltro, non si tratta di dare un giudizio sul governo, ma su una riforma che riguarda la Costituzione, che questo governo non avrebbe nemmeno dovuto presentare, perché la proposta sarebbe dovuta partire dal Parlamento. E se il concetto non è chiaro, allora lo ribadisco una volta per tutte: smettiamola di dire che come Anpi non vogliamo le riforme, perché non è vero. Noi non vogliamo le cattive riforme, che è diverso”.

Lidia Menapace, ex senatrice della Repubblica e staffetta partigiana, sul campo di battaglia si guadagnò il rango di sottotenente. A quel tempo la chiamavano Bruna, ma anche dopo, finita la guerra, per la libertà non ha mai smesso di lottare. “Figurati se mi faccio dire dal ministro Boschi cosa fare. Non ci conosce, non sa chi siamo, come si permette di insinuare che se votiamo ‘no’ al referendum non siamo veri partigiani? Parlando in questo modo si è dimostrata poco colta, per non dire ignorante”. Bruna li ricorda bene i tempi dell’assemblea costituente: “Fu un dibattito popolare, partecipato, non c’erano voti di fiducia per soffocare il dibattito, con la stampa quasi costretta a schierarsi con il presidente del Consiglio, e ben pochi giornali in grado di sfilarsi dalla pressione esercitata dal governo”. Entrando poi nel merito delle riforme, salta fuori la parola “autoritarismo”: “Non voglio parlare di fascismo, per carità, ma sappiano a Roma che la direzione è quella. E possono seminare discordia quanto vogliono, ma noi partigiani risponderemo sempre e fino all’ultimo, cantando Bella Ciao, un sonoro ‘no’ a queste riforme”.

“Oggi la Carta Costituzionale nata dalla Resistenza viene messa sotto accusa da un governo che ne vuole cambiare, in un solo colpo, 47 articoli. E c’è chi vorrebbe che l’Anpi tacesse. Come si può pensarlo?” scuote il capo anche Carla Nespolo, partigiana figlia dell’antifascista Giovanni Nespolo, nipote del celebre Attilio, comandante della divisione Pinan-Chichero, e poi parlamentare del Pci e successivamente, vicepresidente dell’Anpi. “E come si permettono di dire che i veri partigiani voteranno sì?”.

“Il ministro non ha fatto solo una gaffe, ma un’offesa, perché si è arrogata il diritto di dire che esistono partigiani veri e non veri”, concorda anche Aldo Tortorella, partigiano Alessio durante la Resistenza e deputato con il Partito Comunista per la prima volta ai tempi della segreteria di Enrico Berlinguer. “Io al referendum voterò ‘no’ per varie ragioni: ad esempio la riforma del Senato, invece di abolirlo lo ridicolizza, e crea un sistema che renderà più complicato, e non più facile, legiferare. Poi, se si mettono assieme la nuova legge elettorale e le riforme costituzionali c’è anche un rischio per la democrazia. Credo che il Pd abbia avuto un’involuzione molto grande. Non è più un partito che possa richiamarsi ai fondamenti essenziali di una posizione di sinistra”. Per quanto riguarda Renzi, che per avvallare le riforme ha tirato in ballo proprio Berlinguer, poi, Tortorella non usa mezzi termini: “Berlinguer e il Pci chiedevano l’abolizione del Senato. Ma a condizione che ci fosse la legge elettorale proporzionale. Era contrario a trucchi che facessero diventare una minoranza maggioranza assoluta”.

“Mi verrebbe quasi da ridere, se la situazione non fosse seria”, allarga le braccia Bambara. “E’ chiaro che il premier e il suo ministro non sanno più che strategia usare per pubblicizzare la loro riforma, che è una porcheria, un aborto, e si inventano delle tensioni all’interno dell’Anpi. Ci dicono che ci sono partigiani veri e partigiani falsi. Tutte fandonie. La verità è che noi c’eravamo a quei tempi, quando la Costituzione venne approvata, e vediamo cosa stanno cercando di fare a Roma: creare le basi per garantirsi una permanenza al potere. E se questa riforma passa, dove si andrà non lo so”.

Tra i partigiani, poi, c’è anche chi non apprezza il tentativo della Boschi di seguire le orme di Renzi, annunciando cioè l’intenzione di lasciare il governo qualora al referendum dovessero vincere i no. “Non si può vincolare una riforma a un presidente del Consiglio, trasformare un voto così importante in un plebiscito – racconta Lina Tridenti, che durante la guerra fu aiutante del comandante della Divisione Ortigara delle Fiamme Verdi in provincia di Vicenza – è sbagliato”. “Poi oh – sorride la nipote di Matteotti – se Renzi se ne va non ci mettiamo certo a piangere. Ce ne faremo una ragione”.

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