Anna Politkovskaja è un modello luminoso per chiunque creda nel valore alto del giornalismo come testimonianza del reale. Un esempio di onestà intellettuale e coraggio, fedele al semplice assunto che sancisce: “L’unico dovere di un giornalista è scrivere quello che vede”. La giornalista russa è divenuta un simbolo globale di impegno civile per i suoi coraggiosi e impietosi reportage dalla Cecenia tormentata dall’invasione russa (1999-2009), soprattutto dopo il suo assassinio perpetrato il 7 ottobre 2006, mentre stava tornando a casa con le buste della spesa. Assassinio avvenuto in seguito a numerose, pubbliche minacce sferratele da anonimi membri dei vertici militari, costante oggetto delle denunce della giornalista, riguardanti gli abusi, le torture, i soprusi e le umiliazioni a cui l’esercito invasore sottoponeva i civili ceceni.

Gli articoli pubblicati dalla Politkovaskja sulla Novaja Gazeta (un giornale dissidente, di cui altri quattro collaboratori sono stati uccisi dal 2000 in poi per le loro inchieste scomode) sono tanti piccoli capolavori del cosiddetto “advocacy journalism”, prassi giornalistica in cui si perora dichiaratamente il sostegno ad una causa. In questo caso, la causa non era l’indipendenza cecena (come i pennivendoli di regime rinfacciavano all’autrice), ma l’inviolabilità dei diritti umani. La Politkovskaja andava direttamente sul campo, rischiando la vita, vivendo le stesse inumane condizioni del popolo ceceno durante l’occupazione russa, raccontando ciò che vedeva e viveva con una torrenziale profusione di dettagli e argomentazioni, volta ad annichilire, con la puntualità inesorabile di una testimonianza diretta, tutte le obiezioni dei negazionisti. Una vicenda raccontata magistralmente in uno dei fumetti più belli e importanti degli ultimi anni, i Quaderni Russi di Igort (Coconino): un mosaico di tavole strazianti e indimenticabili che testimoniano i rastrellamenti, gli stupri, i massacri compiuti dall’esercito russo, seppelliti dalle trionfanti menzogne di regime.

Una mastodontica macchina mediatica che la Politkovskaja è riuscita a rovesciare quasi da sola, con la precisione inoppugnabile delle sue lucide testimonianze, fino all’estremo sacrificio. Occasione per ricordare la coraggiosa giornalista a dieci anni dal suo assassinio è Donna non rieducabile (dalla definizione con cui il regime putiniano la indicò poco prima della sua morte), uno spettacolo di raro interesse in scena al teatro romano Argot Studio, nel cuore di Trastevere. Un teatro affacciato su quella Piazza S.Cosimato, dove nei primi anni ’60 sorgeva il Teatro Laboratorio, nell’eroica stagione delle cantine teatrali, frequentato da Pasolini, Flaiano, Sandro Penna e Moravia, e che vide l’emergere dell’astro di Carmelo Bene accanto a grandi collaboratori quali Cosimo Cinieri e Leo De Berardinis.

Si respira un’aria elettrica, una profonda tensione teatrale fin dall’inizio della rappresentazione, tratta dal testo che Stefano Massini realizzò un anno dopo la morte della giornalista, adattando in forma di racconto in prima persona numerosi estratti dei suoi diversi testi. Una serie di crude istantanee che compongono un potente memorandum, sulla tragedia della Cecenia e sulla ammirevole figura della giornalista. Lo spettacolo si fonda su una maiuscola prova attoriale di Elena Arvigo, che interpreta, sola in scena, la grande giornalista scomparsa. L’attrice genovese non teme il precedente ingombrante di Ottavia Piccolo (protagonista dell’edizione del 2011) e domina la scena con una presenza teatrale imponente.

Unico supporto scenografico (oltre ad alcuni video proiettati sullo sfondo) è uno stipite di legno, che di volta in volta l’attrice tramuta in cornice, soglia, aratro, croce, confessionale, bara, in un commovente tour de force interpretativo. La trascinante prova della Arvigo redime la rappresentazione da tutti i potenziali rischi del teatro di narrazione: la pedanteria ideologica, l’appesantimento psicologico, la costante china didascalica. Nulla di tutto ciò: siamo di fronte ad uno spettacolo di straordinaria intensità, sorretto da una notevole cura documentale, che andrebbe mostrato ai tanti cultori dell'”uomo forte” Putin, purtroppo divenuti numerosi, grazie alle pericolose mode rossobrune del momento, anche a sinistra.

Donna non rieducabile è in scena fino al 15 Maggio.

Articolo Precedente

‘Qualcosa, là fuori’: un libro che spaventa sul futuro del pianeta

next
Articolo Successivo

Salone del libro Torino 2016, il mercato cresce dello 0,1%: i settori trainanti? Romanzi d’amore e testi sulla cristianità

next