“Per 20 anni barbarie legate al giustizialismo l’avviso garanzia è stato per oltre 20 anni una sentenza mediatica definitiva, le vite di persone per bene sono state distrutte mentre i delinquenti facevano di tutta l’erba un fascio”. Matteo Renzi parla così davanti a un’aula del Senato che affronta due mozioni di sfiducia entrambe nate dall’inchiesta sul petrolio in Basilicata. Ma più che un grande inedito, quello rispolverato a Palazzo Madama dal premier è l’eterno evergreen della politica che attacca la magistratura e si ritira tutta in difesa davanti agli avvisi di garanzia. Prima del presidente del Consiglio, a sorteggiare l’accoppiata barbarie e giustizialismo sono stati in tanti. Tutti a destra. Dal padre nobile Silvio Berlusconi fino a Lorenzo Cesa, da Osvaldo Napoli a Renato Brunetta, l’abbinamento rafforza la persuasiva dell’oratore.

In principio fu Silvio Berlusconi, che in una lettera pubblicata sul Foglio il 1 maggio 2003 ricorda quando Bettino Craxi venne salvato alla Camera dal voto segreto. E poi passa all’attacco di Repubblica. “Eugenio Scalfari, sul giornale dell’ingegner Carlo De Benedetti, scrisse il 30 aprile – prosegue la lettera – un articolo ispirato alla più devastante demagogia reazionaria […]: i parlamentari avrebbero dovuto secondo lui vergognarsi di quel voto libero e segreto, e un’opinione pubblica montata sugli scudi del gruppo editoriale debenedettiano e dei suoi amici avrebbe dovuto rovesciare quel voto per aprire a colpi d’ariete la porta alla reazione giustizialista, per distruggere la sovranità del Parlamento e instaurare la Repubblica delle procure”. Un unico un fatto riuscì, secondo l’ex Cavaliere, a scongiurare questa ipotesi. “Solo la reazione democratica messa in campo dalla nascita di Forza Italia impedì provvisoriamente il trionfo della barbarie giustizialista, restituendo nell’anno del nostro primo governo di resistenza liberale la parola al popolo”. Un panegirico lungo, articolato. O meglio, una metafora. Perché l’obiettivo è difendere Cesare Previti, allora deputato di Forza Italia e condannato in primo grado nell’ambito del processo sul lodo Mondadori (condanna poi diventata definitiva). L’obiettivo di quella sentenza, scrive ancora Berlusconi, “non è fare giustizia […] ma colpire le forze che hanno avuto il mandato di governare e rinnovare l’Italia secondo principi di democrazia liberale corrosi in quegli anni di faziosità“.

Se il padre nobile dell’abbinata oratoria è Berlusconi, in tempi più recenti a sfoggiarlo è stato l’ex segretario dell’Udc Lorenzo Cesa, arrestato durante Mani Pulite e mai condannato, anche se il 6 marzo 1993 l’Ansa scriveva di lui: “Ricercato consigliere comunale di Roma, considerato dagli inquirenti un tramite per la raccolta di tangenti tra le strutture dell’Anas e gli imprenditori: è Lorenzo Cesa“. Ai magistrati, dopo essersi consegnato, dirà: “Oggi mi sento più sereno e intendo svuotare il sacco”. A 13 anni di distanza dalla vicenda Anas, l’11 marzo 2006, si ritrova indagato per truffa e associazione a delinquere. “Questo giustizialismo mediatico è una barbarie”, aveva dichiarato, ricordando di avere ricevuto “un avviso di garanzia attraverso i due principali quotidiani italiani schierati ufficialmente con la sinistra, il Corriere della Sera e la Repubblica”. La sua posizione fu poi archiviata.

Il tandem giustizialismo&barbarie si ripropone anche il 9 maggio 2010 con l’allora vice presidente dei deputati del Pdl Osvaldo Napoli che lo riesuma insieme a un altro evergreen, già sopra nominato da Cesa: avvisi di garanzia consegnati a mezzo stampa. Le persone coinvolte erano legate al crollo della Schola Armaturarum a Pompei avvenuto nel 2010, quando era ministro dei Beni culturali Sandro Bondi. ”Oggi i magistrati non si scomodano più, perché recapitano direttamente le carte ai giornali e nasce così l’avviso ‘a mezzo stampa”’. Un fatto che rappresenta, per Napoli, “un’autentica barbarie, un avvelenamento dei pozzi del diritto che non esiste in nessun altro Paese civile. Ma in questo modo si stanno celebrando anche i funerali del giornalismo d’inchiesta. Basta starsene seduti davanti al pc e una ‘manina’ recapita quello che serve”.

E infine, arrivando ai giorni nostri, l’ultimo a sfoggiare la barbarie giustizialista è stato Renato Brunetta. Il 23 luglio 2014 sul suo Mattinale, nota politica redatta dallo staff del gruppo di Forza Italia alla Camera, si legge: “Al terzo punto del (patto del) Nazareno c’era la giustizia. Questa riforma è affondata preventivamente con il trattamento Galan (per il quale la Camera aveva autorizzato l’arresto, ndr), impedito di difendersi. Altro che ricatto sulle riforme che avremmo minacciato noi. Semmai è Renzi con il suo governo ricattato dalla piazza e dai suoi deputati proni al giustizialismo“. Poi la conclusione, amarissima: “Per noi il rispetto dei diritti della persona. Il dolore di Silvio Berlusconi per la barbarie”. Parole dal sapore antico, specie nel giorno in cui il verdiniano Lucio Barani si erge a difensore di Renzi: “Siamo un piccolo gruppo di resistenti che sostiene le riforme liberali, prima con Berlusconi, ora da pretoriani del suo governo”.

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