“Mi chiamo Giuseppe Di Bello, sono tenente della polizia provinciale ma attualmente faccio il custode del Museo di Potenza. Da sei anni sono stato messo alla guardia dei muri, trasferito per punizione perché ho disonorato la divisa che porto. L’ho disonorata nel gennaio del 2010 quando mi accorgo che la ghiaia dell’invaso del Pertusillo si tinge di un colore opaco. Da bianca che era la ritrovo marrone. Affiora qualche pesciolino morto. L’invaso disseta la Puglia e irriga i campi della Lucania. Decido, nel mio giorno di riposo dal lavoro, di procedere con le analisi chimiche. Evito di far fare i prelievi all’Arpab, l’azienda regionale che tutela la salute, perché non ho fiducia nel suo operato. Dichiara sempre che tutto è lindo, che i parametri sono rispettati e io so che non è così. L’Eni pompa petrolio nelle proprie tasche, e lascia a noi lucani i suoi veleni. Chiedo la consulenza di un centro che sia terzo e abbia tecnologia affidabile e validata. Pago con soldi miei. Infatti le analisi confermano i miei sospetti. C’è traccia robusta di bario, c’è una enorme concentrazione di metalli pesanti, tutti derivati da idrocarburi. E’ in gioco la salute di tutti e scelgo di non attendere, temo che quei documenti in mano alla burocrazia vadano sotterrati, perduti, nascosti. Perciò le analisi le affido a Maurizio Bolognetti, segretario dei radicali lucani, affinchè le divulghi subito. Tutti devono sapere, e prima possibile!
Decido di denunciare i fatti alla magistratura accludendo le analisi che ho fatto insieme a quelle precedenti e ufficiali dell’Arpab molto più ottimistiche e tranquillizzanti ma comunque anch’esse costrette a rilevare delle anomalie. Alla magistratura si rivolge anche l’assessore regionale all’Ambiente che mi denuncia per procurato allarme. Il presidente della Regione, l’attuale sottosegretario alla Salute Vito De Filippo, dichiara pubblicamente che serve il pugno duro. Infatti così sarà. I giudici perquisiscono l’abitazione di Bolognetti alla ricerca delle analisi, che divengono corpo di reato. Io vengo denunciato per violazione del segreto d’ufficio, sospeso immediatamente dall’incarico e dallo stipendio (il prefetto mi revocherà per “disonore” anche la qualifica di agente di pubblica sicurezza) mentre l’invaso del Pertusillo si colora improvvisamente di rosso, con una morìa di pesci impensabile e incredibile. Al termine dei due mesi di sospensione vengo obbligato a consumare le ferie. Parte il procedimento disciplinare, mi contestano la lesione dell’immagine dell’ente pubblico e mi pongono davanti a un’alternativa: andare a fare l’addetto alla sicurezza del museo o attendere a casa la conclusione del processo. E’ un decreto di umiliazione pubblica. Ma non mi conoscono e non sanno cosa farò.
Infatti accetto l’imposizione, vado al museo a osservare il nulla, ma nel tempo libero continuo a fare quel che facevo prima. Costituisco un’associazione insieme a una geologa, una biologa e a un ingegnere ambientale e procedo nelle verifiche volontarie. Vado col canotto sotto al costone che ospita il pozzo naturale dove l’Eni inietta le acque di scarto delle estrazioni petrolifere. In linea d’aria sono cento metri di dislivello. Facciamo le analisi dei sedimenti, la radiografia di quel che giunge sul letto dell’invaso. Troviamo l’impossibile! Idrocarburi pari a 559 milligrammi per chilo, alluminio pari a 14500 milligrammi per chilo. E poi manganese, piombo, nichel, cadmio. E’ evidente che il pozzo dove l’Eni inietta i rifiuti non è impermeabile. Anzi, a volerla dire tutta è un colabrodo!
La striscia di contaminazione giunge fino a Pisticci, novanta chilometri a est, e tracce di radioattività molto superiori al normale e molto pericolose sono rintracciate nei pozzi rurali da dove i contadini traggono l’acqua per i campi, per dissetare gli animali quando non proprio loro stessi. La risposta delle istituzioni è la sentenza con la quale vengo condannato a due mesi e venti giorni di reclusione, che in appello sono aumentati a tre mesi tondi. Decido di candidarmi alle regionali, scelgo il Movimento Cinquestelle. Sono il più votato nella consultazione della base, ma Grillo mi depenna perché sono stato condannato, ho infangato la divisa, sporcato l’immagine della Basilicata. La Cassazione annulla la sentenza (anche se con rinvio, quindi mi attende un nuovo processo). Il procuratore generale mi stringe la mano davanti a tutti. La magistratura lucana ora si accorge del disastro ambientale, adesso sigilla il Costa Molina. Nessuno che chieda a chi doveva vedere e non ha visto, chi doveva sapere e ha taciuto: e in quest’anni dove eravate? Cosa facevate?”.
foto di Basilicata24