Bisognava metterci una toppa. Lo strappo poteva allargarsi e sfibrare il vestitino che sarti d’esperienza hanno cucito addosso a Pasquale Scotti, l’ex super latitante della Nco, reclutato insieme a Vincenzo Casillo e Corrado Iacolare, agli inizi degli anni Ottanta, dai servizi segreti per missioni-servigi di Stato con la “s” minuscola. Le porte del carcere dov’è detenuto Pasquale Scotti potevano clamorosamente spalancarsi. Questa volta l’ex braccio destro del boss Raffaele Cutolo non sarebbe evaso – cosa, invece, che fece il 25 dicembre del 1984 con l’aiutino dei carabinieri dall’ ospedale civile di Caserta – ma scarcerato per legge.

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In Brasile la normativa è chiara. Scotti è detenuto dal 26 maggio 2015, giorno del suo arresto a Recife, e in attesa di estradizione. Il Supremo Tribunal Federal, il 21 ottobre 2015, ha stabilito che l’ex latitante non è un ‘perseguitato politico’ e può essere affidato alle autorità italiane per scontare la pena definitiva. La sentenza è stata pubblicata e omologata. Comincia il conto alla rovescia. Scatta un termine, entro il quale, gli uffici del ministero della Giustizia italiana devono ultimare l’iter. La documentazione dev’essere trasmessa agli omologhi uffici brasiliani che completata l’istruttoria del fascicolo lo sottopongono alla valutazione e alla firma del presidente del Brasile Dilma Rousseff.

Qualche granello di sabbia però sembra essere finito nel frattempo negli ingranaggi della burocrazia italiana. Attorno al caso Scotti cala un silenzio assordante. Al punto che una pattuglia di deputati del Movimento 5 Stelle deposita un’interrogazione e chiede lumi sui ritardi accumulati nelle procedure al ministro della Giustizia Andrea Orlando. Tuttavia in Brasile i legali di Scotti presentano un’istanza di scarcerazione ritenendo lo Stato italiano inadempiente e responsabile di una condotta che viola gli accordi bilaterali e quindi i diritti del detenuto Scotti.

Una vicenda che s’ingarbuglia, si complica e si tinge di giallo. E’ stata sempre una strana storia quella di Scotti. Misteri, segreti e un passato che non passa. La Corte del tribunale brasiliano accetta l’osservazione del collegio difensivo dell’ex primula rossa e fissa l’udienza per metà febbraio per esaminare il ricorso. Tecnicamente Scotti ‘rischia’ in concreto di lasciare il carcere e tornare a casa dalla sua famiglia. Un ‘rischio’ da scongiurare, scansare a tutti i costi. Ma come fare?

In Brasile Pasquale Scotti è un cittadino irreprensibile, pulito, non è coinvolto in nessuna indagine, a suo carico neppure una multa. La sua è una presenza quasi invisibile anzi sono pochi a conoscerlo. Circostanza quest’ultima che ha fatto ipotizzare ad una sua presenza saltuaria a Recife a differenza di chi sostiene che in terra brasiliana ci vive da oltre 30 anni. Sta di fatto che Scotti non ha mai violata la legge in Brasile. Anzi l’unico reato che ha commesso, ‘stranamente’ non gli è stato contestato: la falsa identità. Pasquale Scotti è Francisco de Castro Visconti. I suoi documenti però sono in regola. Non siamo, infatti, di fronte alla falsificazione della carta d’identità o del passaporto. Scotti o meglio de Castro Visconti aveva registrata una regolare posizione all’anagrafe. Tant’è vero che i suoi due figli hanno il cognome di de Castro Visconti. La revisione è quasi ultimata, si chiameranno Scotti. Curiosa e complicata la vicenda. Solo i servizi posso attribuire identità false ma legali e di copertura. Tornando al giallo dell’estradizione: è chiaro che se non subentrava un ‘meccanismo di salvaguardia’ Scotti sarebbe uscito dal carcere.

La diplomazia italiana o meglio la penombra si mette a lavoro. Occorre disinnescare la bomba. Mettere una toppa. Si giunge a un possibile compromesso forzando l’accordo bilaterale. L’iniziativa è degli uffici giudiziari brasiliani che contro ogni procedura e prassi ordinano la ripubblicazione e l’omologa della sentenza di estradizione del Supremo Tribunal Federal. Risultato? Scatta nuovamente il termine, entro il quale, gli uffici del ministero della Giustizia italiana devono ultimare l’iter. Tecnicamente l’istanza di libertà non può essere accolta. Scotti resta dietro le sbarre. La toppa è cucita sul vestitino. L’oca ritorna alla casella di partenza.

Gli interrogativi sono tanti e restano tutti senza risposta. Perché gli uffici ministeriali non hanno inviato in tempo la documentazione?  Quali difficoltà ‘tecniche’ hanno trovato? Perché il ministro della Giustizia non risponde all’interrogazione? Perché si sono allungati i termini? Scotti nel corso della detenzione (non esistono le restrizioni italiane) ha incontrato qualcuno? Il detenuto Scotti è stato rassicurato? E poi perché dopo l’arresto di Scotti, il boss Raffaele Cutolo rompendo il suo ferreo mutismo ha deciso di rendere dichiarazioni spontanee sul rapimento di Aldo Moro alla Commissione parlamentare d’indagine? E come mai – a sorpresa – lo scorso 3 febbraio, il silenzioso Ciro Cirillo, 95 anni, l’ex assessore dc, rapito dalle Br e liberato dopo la trattativa Stato-camorra ha concesso un’intervista alla Tv svizzera italiana per la trasmissione ‘Un giorno in pretura’? E perché Cirillo a discapito della sua riservatezza parla del rapimento di Moro e accenna a una trattativa tra Stato e camorra per liberarlo? Perché al riguardo parla anche Immacolata Iacone, moglie di don Raffaele e conferma: “Fu il momento in cui lo Stato cercò l’intervento dell’anti-Stato, questo mi ha sempre detto mio marito”. E poi perché concedere interviste proprio alla Tv svizzera? C’entra qualcosa il probabile ritorno in Italia di Pasquale Scotti?

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