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Per Fabio, studente del primo anno, la prof lo ha preso di mira;

Per Anna, insegnante, Fabio è superficiale e non si applica;

Per Gianni, padre di Fabio l’insegnante non capisce suo figlio.

Studenti, insegnanti, genitori, tre modi di vedere le cose. Stessa situazione, interpretazioni diverse. La scuola è un intreccio di relazioni in cui i protagonisti sono alla continua ricerca di un linguaggio comune per intendersi. Non sempre ci riescono, qualche volta chiedono aiuto allo psicologo. Ne parlo nel mio libro Uno Psicologo nella Scuola, edito da Alpes Italia, in uscita in questi giorni.

Chi sono studenti, insegnanti e genitori?
Gli studenti della scuola superiore sono adolescenti con tutti i problemi comuni a questa fase di crescita: l’insicurezza, la paura del giudizio, la vergogna, il bisogno di accettazione e conferma, il bisogno di essere guidati senza sentirsi legati, ecc… Capire i loro vissuti aiuta a comprendere perché per esempio perdono la motivazione allo studio, o perché invece di andare a scuola passano la mattinata sugli autobus, o perché non riescono a oltrepassare il portone di casa colpiti da terribili mal di pancia…
Sono ragazzi sensibili, all’atteggiamento dei compagni, alle aspettative dei genitori, al giudizio degli insegnanti. Dagli insegnanti si aspettano un riconoscimento prima come persone che come studenti, non si accontentano di sentirsi confusi tra i tanti nella classe.

Gli insegnanti entrano a scuola con i temi comuni a chi sceglie questa professione: il desiderio di guidare e incidere sulle giovani menti, di essere riconosciuti positivamente dagli studenti, la paura di deludere le aspettative (di alunni, colleghi, genitori, dirigenti) date le sfaccettate aspettative riposte su di loro. A volte il carico è troppo alto.

Ci sono le storie. Se è naturale chiedersi quale situazione familiare abbia alle spalle uno studente soprattutto se si fa notare, lo è di meno per l’insegnante perché è un luogo comune che gli insegnanti debbano essere obiettivi e imparziali e lasciare fuori dalla classe le proprie questioni private. Poi ci sono i genitori che oggi funzionano meglio come “base sicura” che come educatori guardiani dei valori d’appartenenza, come invece erano i genitori di qualche tempo fa.

La mutevolezza del contesto e delle regole sociali costringono l’adolescente a non poter seguire semplicemente l’esempio dei genitori ma a dover sperimentare di persona i comportamenti più efficaci ai problemi che incontra. E’ più utile per lui avere un sostegno su cui contare piuttosto che fare riferimento a modelli comportamentali precostituiti.

I nuovi genitori si trovano perciò a vivere esperienze nuove e sono più facilmente soli ad affrontare la crescita dei figli.
La nuova condizione richiede una certa flessibilità di ruoli all’interno della famiglia, così i padri lasciano spazio in alcune aree che erano di loro esclusiva competenza, dedicandosi a funzioni affettive prima completamente materne, e le madri, rinunciando all’esclusività del rapporto con i figli, hanno qualche possibilità in più di realizzarsi al di fuori della famiglia.

Ricoprire nuovi ruoli non significa semplicemente che i genitori di oggi fanno cose diverse da quelli di ieri, ma che non hanno modelli di riferimento con cui identificarsi, come invece accadeva in passato, perciò affrontano i loro compiti provando e riprovando, andando per tentativi ed errori.

L’identità genitoriale ne risulta più incerta e fragile e questo condiziona il rapporto con gli insegnanti e con la scuola dato il rischio sempre percepito di essere valutati sul progetto educativo portato avanti con i figli. Il modo di essere dei figli rappresenta una specie di esame per i genitori, la prova dell’adeguatezza/inadeguatezza della loro funzione genitoriale.

La scuola è un intreccio di relazioni.

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