Manifatturiero

Nessun Paese al mondo è completamente autonomo nel disporre delle risorse di cui abbisogna. Deve integrare ciò che il Padreterno gli ha concesso con acquisti presso altri Paesi: e questi acquisti vanno pagati. Fra Stati sovrani e indipendenti succede qualcosa di diverso rispetto a quello che succede nel proprio paesello: si instaura sempre un rapporto fra ‘surplus’ (che esporti) e ‘integrazioni’ (che importi).

I pagamenti in moneta sono (o dovrebbero essere) soltanto un geniale ‘mezzo facilitativo’ che mette l’olio lubrificante nelle ruote del grande mercato: in realtà determinano altre ricadute di grandissimo peso e distorsioni non a lungo tollerabili. Ma al momento trascuriamole. Succede così che, se guardiamo agli Stati sovrani, possiamo vedere quasi fisicamente una enorme tavolata su cui si svolge un gigantesco viavai di merci: e siccome la Terra è una palla sferica ben chiusa (a parte qualche missile, niente riusciamo a buttare nello spazio, neppure la spazzatura che ormai ci sommerge), la somma di tutto ciò che ogni Stato sovrano ‘vende’ ad altri corrisponde al millimetro con la somma di tutto ciò che ogni Stato sovrano acquista da altri: non si scappa.

Una visione globale di questa movimentatissima tavolata ci mostrerebbe uno scenario assolutamente caleidoscopico, incomprensibile. E non ci interessa: concentriamoci sulla porzione che ci riguarda e nella quale noi viviamo. Quella del nostro amatissimo quanto scriteriato Paese. Devo fare una doverosa premessa: chi scrive non è e si rifiuta di definirsi ‘economista’: anche se qualcosina, via, ci azzecca… Mi servo di numeri: non quelli veri: ma quelli vicini al vero, per farmi capire bene.

1984: Craxi: …e la nave va… Il nostro contributo alla ‘tavolata interstatale’ era, all’incirca, del 5%: ora, se pensate che a quell’epoca – con un po’ di sforzo, per carità – il nostro Paese veniva definito ‘la quarta potenza industriale del mondo’, converrete con me che quel 5% appariva di per se stesso leggermente ridicolo. Ma, nemico giurato qual sono degli approcci che definirei ‘dei tagli lineari’ (cioè tagliati – delicatamente – con la picozza), vorrei fare un passo (piccolo piccolo) più avanti.

Proviamo a dividere quel ‘5%’ in due parti: da un lato la percentuale di partecipazione al banchetto interstatale degli scambi (export) riguardanti ‘moda’ e ‘food’ (alimentari): dall’altra quella al banchetto interstatale dell’industria manifatturiera. Potremmo – vicinissimi al vero – dire che nel 1984 ‘moda’+’food’ cubavano per il 2,5%, e la ‘industria manifatturiera’ per un altrettanto 2,5%.

Passano gli anni, succedono accadimenti importantissimi: crollo del muro di Berlino, riunificazione delle due Germanie, introduzione dell’€uro, profondi mutamenti dei mercati internazionali, comparsa della Cina come ‘fabbrica del mondo’ e della Russia come ‘compratore del mondo’: il petrolio passa da 10 Us$ al barile a 100 Us$ al barile: gli Stati Arabi acquisiscono una incredibile ricchezza… e avanti cantando.

In uno scenario generale (per una sola parte del pianeta, quella cui noi apparteniamo) di benessere certamente crescente (scopriremo poi che si trattava di un ‘benessere’ fondato sul ‘credito’, cioè sul denaro ‘che non c’è’), giungiamo al 2008, prima dell’arrivo di una devastante e idiota crisi ingenerata dagli Stati Uniti e dal loro ‘affamatissimo, bulimico sistema finanziario’: l’Italia non è più la ‘quarta’ potenza industriale, forse la decima o anche più giù: la questione non riveste nessunissimo interesse concreto.

E’ invece interessantissimo cercare di valutare ‘quanta parte’ della tavolata interstatale l’Italia riesce a conquistare: e, udite udite, quello che nel 1984 era il ‘ridicolo’ 5%, ora è splendidamente cresciuto al… 3%. 2008: Bingo!!! Uno splendido ‘passo del gambero’… Ma c’è di più: cerchiamo, come dianzi fatto, di ‘spaccare’, di ‘aprire’ un pochino quel 3%: e facciamo una scoperta sorprendente.

‘Moda’+’food’: 2’5% – ‘manifatturiero’: 0,5%. Avete letto bene, purtroppo. ‘Moda’+’food’ tengono, alla grande: il nostro manifatturiero, all’estero, sparisce. In poche parole: il mondo sta espellendo, silenziosamente, la nostra industria manifatturiera: che, detto per incidens, è la sede forse più importante dei ‘posti di lavoro’: altro che Italia ‘paese esportatore’: sì, è vero, ‘paese esportatore’: ma soltanto là dove particolari caratteristiche (estro, genialità, ‘made in Italy’, bontà del prodotto, cura del prodotto, ecc.ecc.) lo consentono: ma là dove difficilmente possiamo ‘spendere’ quei nostri indubitati ‘plus’, mi dite – al di là di vane e stereotipate ciance – se il mondo si accorge di noi e della nostra esistenza?

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