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Mafia Capitale e la maledizione dell’ufficio nomadi

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Il maxi-processo di Mafia Capitale si è aperto nelle scorse settimane e il primo colletto bianco ad essere condannato è stata Emanuela Salvatori, ex direttrice dell’Ufficio Nomadi di Roma accusata di corruzione. Quattro anni è la condanna per l’ex dipendente del Campidoglio colpevole di aver favorito un finanziamento a una cooperativa della galassia di Buzzi in cambio dell’assunzione della figlia.

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Non è la prima volta che un funzionario a capo dell’Ufficio Nomadi di Roma finisce dietro le sbarre.

Il primo a dirigere quindici anni fa l’“Ufficio Nomadi” di Roma fu Luigi Lusi, condannato per essersi appropriato di 25 milioni di euro. Poi, sotto l’amministrazione Veltroni fu la volta del suo capo-gabinetto Luca Odevaine a condizionare fortemente le scelte dell’Ufficio con la decisione di costruire il nuovo “villaggio” di Castel Romano nel 2005. Anche lui si trova da qualche giorno agli arresti domiciliari dopo una detenzione per corruzione nell’inchiesta denominata “Mondo di Mezzo”. Quando il governo della città passò al sindaco Alemanno fu la volta del soggetto attuatore del Piano Nomadi, Angelo Scozzafava a commissariare l’Ufficio prendendolo nelle sue mani. Sul suo capo pende l’accusa di associazione mafiosa e corruzione aggravata.

Nei giorni scorsi è stata la volta di Emanuela Salvatori, condannata per corruzione. Il suo posto era stato preso nel gennaio 2015 dalla dirigente Ivana Bigari nominata più volte all’interno della Relazione desecretata della Commissione di Accesso presso Roma Capitale e poi trasferita presso il Dipartimento Politiche Scolastiche di Roma Capitale. Nella Relazione la Commissione rileva la “assoluta incapacità (della Bigari ndr) di deviare da quei percorsi già delineati che, grazie all’attività pervasiva del sistema realizzato da Buzzi e dalla connivenza di altri funzionari, vicini alla stessa Bigari, continuano anche con l’avvento della nuova Giunta”.

E così, mentre a colpi di proclami inneggianti alla legalità i sindaci che si sono succeduti in Campidoglio, chiedevano alle comunità rom il rispetto delle regole, l’Ufficio della porta accanto, diventato nel frattempo “Ufficio Rom, Sinti e Camminanti”, ha rappresentato per vent’anni la massa tumorale che ha paralizzato ogni azione, schiacciato i diritti e distribuito risorse a pioggia. Secondo la puntuale legge del contrappasso, “chi di legalità ferisce, per la legalità perisce”.

A Roma l’illegalità non è una questione che riguarda primariamente i rom. Da vent’anni l’illegalità romana ha preso forma in amministratori incapaci, in dirigenti corrotti, in “rappresentanti” kapò e in quella parte di associazionismo autoreferenziale e incompetente che non ha provato vergogna nel sottoscrivere convenzioni illegittime. Una massa di cialtroni, distruttori di speranza e ideatori di un assistenzialismo sfrenato che ha umiliato la comunità rom affossando i suoi diritti, deriso la restante comunità cittadina distraendo denaro pubblico e promosso una “guerra tra poveri”.

Eppure l’Ufficio Nomadi ancora sopravvive con la sua “maledizione” e la probabile preoccupazione del prossimo dirigente che sarà chiamato a guidarlo. Visitando il sito del Comune di Roma, in sostituzione del suo nome e cognome, per adesso c’è solo uno spazio bianco…

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