Matteo Renzi ha dichiarato guerra ai talk show. Dieci considerazioni.

1. Siamo passati dall’Editto di Sofia all’Etwitto di Rambo. E’ aumentato il tasso di ridicolo perfino nella censura.

2. L’attacco alla libertà della stampa del Duce Calà è tale e quale a quello di Berlusconi, anzi se possibile perfino peggiore: Berlusconi si lamentava delle troppe critiche, Renzi dei troppo pochi peana. Contemporaneamente viene approvata la Legge Bavaglio. Non vedo però, per esempio sulle pagine di Repubblica o sulle sempre più comode amaca di Michele Serra, i post-it gialli con scritto “No bavaglio”. E neanche vedo difese convinte a Massimo Giannini, ex vicedirettore di Repubblica, dopo gli attacchi del Duce Calà. No, non le vedo proprio. Chissà perché.

3. Matteo Renzi attacca ora quegli stessi talk show che hanno permesso il mito (ridicolo) dell’uomo del cambiamento. Prima li ha usati e ora ne vorrebbe la chiusura: troppo facile, fenomeno.

4. Renzi, criticando gli ascolti altrui, dà per scontato di essere il toccasana dello share. Lo era una volta, ora non più. Renzi non droga più gli ascolti. Al massimo conferma una tendenza già positiva, vedi Otto e mezzo dieci giorni fa. Per il resto è uno di quelli che in tivù funziona peggio, e anche quando prova ad aiutare programmi amici (Del Debbio, Porro) per abbattere programmi nemici (Formigli) incide sulle curve di ascolto come Padoin nella Juve. Due esempi. A Parallelo Italia, intervistato (va be’) da Johnny Riotta, è stato un disastro. E due settimane fa, a Tikitaka, intervistato (va be’) da un conduttore financo più renziano di lui, ha contribuito al peggior risultato stagionale (e uno dei peggiori di sempre) di un programma che senza di lui va benissimo.

5. Renzi funzionerebbe in tivù se accettasse di confrontarsi con giornalisti critici, ma non lo fa. Ha paura e ritiene che non gli convenga: proprio come faceva il suo maestro Silvio, che accettò di confrontarsi con Santoro e Travaglio quando era proprio alla canna del gas. Chiedetevi perché, se c’è Renzi in tivù, non ci sia chi osa criticarlo. E così con la Boschi. Spesso, se c’è un “antirenziano”, il Duce Calà manda al macello chi gli interessa pochissimo (tipo Bonafè, Richetti o la massaia debole De Micheli). Esiste proprio una blacklist del Nazareno: “quello è un amico”, “quell’altro è uno stronzo”. Peraltro non capisco perché Renzi non accetti il confronto: io, per esempio, a parte reputarlo un politico impreparato, bugiardo, arrogante, caricaturale, vuoto e quasi sempre disastroso, non ho nulla contro di lui. Di che ha paura?

6. Renzi, che non è un cittadino qualsiasi ma il Presidente del Consiglio, osteggia chi non ama, li ridicolizza e spesso li porta all’allontanamento dal servizio pubblico (Floris). A voi sembra normale? A me no, a molti miei colleghi sì.

7. L’attacco di Renzi ai talk show, oltre che inaccettabile, è ridicolo. Oltremodo ridicolo. Non c’è mai stato nessun politico protetto dai media come lui. Neanche Berlusconi. Il 90-95% lo celebra con uno zelo imbarazzante (per loro) e le Meli qualsiasi presidiano ogni talk show. So bene quale sia il cruccio di Renzi: non il numero dei renziani, enorme, ma il peso specifico intellettuale, ridicolo. Capisco che avere dalla sua parte Rondolino e avere contro chi pagherebbe per avere amico lo crucci assai: stacce, Matteo. Ognuno ha gli ultrà che si merita, e fossi in te – nel constatare i tifosi che hai – qualche domanda me la porrei.

8. Buona parte di questi attacchi tragicomici è opera di tal Filippo Sensi, ufficio stampa del Pd e portavoce del Governo, pagato dallo Stato e dunque da noi. Questo bizzarro omino sferico passa la vita a celebrare Renzi, e solo per questo meriterebbe tanta solidarietà. Sensi spende ogni energia esercitando il nobile ruolo dell’hooligan nerd su Twitter (come Francesco Nicodemo, ora legato sentimentalmente alla Picierno: non è una battuta) e di recente ha paragonato Varoufakis al Dottor Spock, forse indispettito perché l’ex ministro greco sia un sex symbol e lui un po’ meno. Qualcuno chiederà: sì, ma chi è ‘sto Sensi? Ma come chi è? Il famosissimo ex vicedirettore di Europa, quotidiano con più pagine che lettori (infatti è morto) e lautamente sovvenzionato da noi contribuenti. Sensi era il vice di Menichini, che è come essere la riserva di Hugo Maradona. Più che esperti di comunicazione, qui pare di essere di fronte alla confraternita dei bimbominkia invecchiati. Auguri.

9. Invece di dar lezioni a Iacona, da cui peraltro ha solo da imparare, Renzi dovrebbe riflettere sul perché non gli piacciano più i talk show. Gi suggerisco umilmente, e col consueto nonché notorio affetto, un motivo: fino a quando manderà in tivù questi yesman impalpabili e queste droidi caricaturali, non farà che portare voti a M5S o Salvini. Se un telespettatore ha anche voglia di votare Renzi, dopo aver visto e ascoltato in tivù le Rotta (ahahah) e i Faraone, vota di tutto – ma proprio di tutto, anche un cercopiteco albino – tranne Renzi. E se ciò accade, e accade sempre più spesso, mica è colpa dei talk show: è colpa della peggiore “nuova classe dirigente” degli ultimi 50 anni, così arrogante e imbarazzante da far quasi rimpiangere le Gelmini.

10. Secondo un sondaggio di due giorni fa di Nando Pagnoncelli, che non mi risulta al soldo di Di Maio, il gradimento di Renzi è oggi inferiore a quello che aveva Letta quando fu accoltellato (da Renzi) e piace a non più di 3 italiani su 10. Gli altri non lo sopportano. Una slavina continua: Matteo, facce Rambo (cit).

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