L’inizio della scuola è alle porte, molte famiglie fanno i conti con il rincaro dei prezzi della cartoleria, altre invece possono tirare un sospiro di sollievo perché nelle classi dei loro figli zaini e astucci non sono ammessi. Biro, matite, gomme, forbici, squadre e righelli sono in condivisione e a fine lezione quaderni e libri vengono sistemati negli scaffali all’ingresso dell’aula. La “scuola senza zaino” è un progetto nato nel 2002 a Lucca, a cui finora hanno aderito 127 istituti della penisola, e da quest’anno se ne aggiungeranno altri 63 in Toscana (la Regione con una delibera del 31 luglio ha previsto un finanziamento di 50mila euro all’anno fino al 2020).

Una scuola più leggera non solo ha una diversa organizzazione degli spazi, ma offre anche percorsi didattici personalizzati e allo stesso tempo abitua gli alunni a lavorare in gruppo. Prendiamo l’esempio della scuola primaria “Danilo Dolci” (all’interno dell’istituto “G. Mariti”, capofila del progetto) a Crespina, in provincia di Pisa. I vecchi banchi monoposto sono sostituiti da grandi tavoli quadrati con sei sedie intorno. I bambini ruotano una volta alla settimana. L’aula “a righe” è quella di italiano, storia e geografia. Quella “a quadretti” è riservata a matematica e scienze.

Come nei college anglosassoni, a trasferirsi da una stanza all’altra sono i bambini, non l’insegnante. Scordatevi poi le classiche aule, spoglie e anonime

Come nei college anglosassoni, a trasferirsi da una stanza all’altra sono i bambini, non l’insegnante. Scordatevi poi le classiche aule, spoglie e anonime. Qui si respira tutt’altra atmosfera. A sei anni si sta come dentro un ufficio. C’è un angolo per l’informatica con due computer connessi al web. Un angolo “agorà” con una pedana e sopra dei cuscini morbidi disposti a semicerchio, dove i bambini si accomodano per leggere un libro, da soli o in gruppo, e durante le lezioni frontali.

“Non occorre che prendano appunti, devono imparare ad ascoltare e a fare domande” spiega Cristina Gasperini, la maestra di italiano. Un altro spazio è dedicato alle esercitazioni. “Qui il bambino ha a disposizione delle schede di autovalutazione sulle varie materie, per esercitarsi quando ha delle difficoltà”, continua la maestra. Appeso al muro c’è il “letturometro”, un pannello con la lista dei libri presenti nella piccola biblioteca di classe. “L’alunno colora il quadretto corrispondente al libro che ha letto. Alla fine dell’anno i primi cinque con più titoli accumulati vincono un premio”. Sempre alla parete, troviamo la mappa, un percorso a tappe del programma da imparare, che viene stesa con la partecipazione degli alunni. L’angolo scientifico è nell’aula a quadretti: qui si studiano piante, animaletti, pietre e si fanno esperimenti con le farine.

“L’alunno colora il quadretto corrispondente al libro che ha letto. Alla fine dell’anno i primi cinque con più titoli accumulati vincono un premio”

L’insegnamento non è standard, ma differenziato in base alle necessità e alle competenze del gruppo o del singolo. “Mentre spiego una lezione a un tavolo, quello accanto fa degli esercizi, il terzo magari disegna o legge. Non c’è una regola, il carico di lavoro dipende dai livelli di capacità”. Comprese le verifiche, personalizzate anche queste. “Il voto non c’è. Il bambino colora un semaforo sul foglio, blu è eccellente, verde è buono, arancione sufficiente, rosso insufficiente”. Un altro caposaldo della “scuola senza zaino” è la solidarietà e la collaborazione fra i compagni. Ogni tavolo nomina un capotavolo che ha il compito di fare l’appello, di fare il portavoce con l’insegnante e in mensa di servire il pranzo ai compagni. Per il materiale didattico ogni famiglia versa 30 euro all’anno. Saranno poi gli insegnanti a procurarlo presso i grossisti della zona. La spesa include anche una cartellina in pelle, sottile e leggera, con manico e bretelle. “Serve per portare i compiti a casa, una scheda, al massimo un quaderno, quando c’è bisogno” dice Gasperini.

L’idea della “scuola senza zaino” si sviluppa sulla scia della pedagogia montessoriana. A metterla in pratica è stato un team di nove insegnanti. Oggi si avvale di un gruppo di 40 formatori per i colleghi interessati a coltivare lo stesso metodo. Ma quanto costa una scuola così? “Un’aula attrezzata costa dai tre ai cinquemila euro” risponde Marco Orsi, il promotore del progetto, autore del libro “A scuola senza zaino. Il metodo del curricolo globale per una scuola comunità” (Erickson, 2006). “Lo zaino trasmette un senso di precarietà, non è un caso che sia stato inventato per gli alpinisti e i soldati per resistere in luoghi inospitali. A scuola invece il bambino deve sentirsi all’interno di una comunità, accogliente e in grado di renderlo autonomo e responsabile”.

“A scuola invece il bambino deve sentirsi all’interno di una comunità, accogliente e in grado di renderlo autonomo e responsabile”

Un’indagine di Ersilia Menesini e Giuliana Pinto, entrambe docenti di Psicologia dello sviluppo alla facoltà di Scienze della formazione dell’università di Firenze, condotta tra il 2008 e il 2009, ha messo a confronto 281 alunni di classi “senza zaino” e 295 alunni di classi normali. Il risultato è che i primi dimostrano di essere più indipendenti, più cooperativi e più empatici.

Il progetto coinvolge soprattutto le scuole primarie. Non mancano però gli esperimenti in quelle dell’infanzia. Alla “Santa Luce” (che fa sempre parte dell’Istituto “G. Mariti”) di Crespina, i bambini si danno regole di convivenza. Insieme decidono chi distribuisce la frutta a metà mattina, chi serve ai tavoli per pranzo, chi fa l’appello, chi compila il calendario, e quanti bimbi possono giocare a un gioco. “C’è un cartellone degli incarichi fissato al muro a cui corrispondono contrassegni di forma e colore diverso per ogni bambino” spiega la maestra Chiara Bertoni. “In bagno – aggiunge – ci vanno da soli. C’è un sistema di semafori, quando uno di loro si alza per andare a fare pipì attacca il bollo rosso, quando rientra quello verde”.

I bambini si danno regole di convivenza. Insieme decidono chi distribuisce la frutta a metà mattina, chi serve ai tavoli per pranzo, chi fa l’appello, chi compila il calendario, e quanti bimbi possono giocare a un gioco

La sala destinata al gioco libero è organizzata in aree diverse. C’è quella della casa, con la cucina, il tavolo da apparecchiare, i mobili, le stoviglie, l’acquario, uno specchio e abiti per il travestimento. C’è quella delle costruzioni, quella per la pasta sale, uno scaffale con i vassoi montessoriani (come mortaio, allacciature, ciotole con cucchiaio e semini da travasare) per affinare la motricità fine delle dita (utile per una corretta prensione della matita). In un altro scaffale, divisi per scompartimenti personali ci sono gli album da disegno e su un’altra mensola i cestini con pastelli, pennarelli, gomme e temperini in comune. Infine, l’angolo del piccolo scienziato, con lente d’ingrandimento, pinzette e contenitori vari. In ogni spazio gioco al massimo possono starci dai tre ai cinque bambini (il numero è stabilito da loro).

La prima attività la prenotano su un tabellone al mattino appena arrivano a scuola. Poi quando sono stanchi si scambiano tra di loro. “Di solito non litigano, tutti vogliono fare di tutto. Questa tecnica consente di avere più ordine, meno rumore, e una vita scolastica più fluida e serena per loro e per noi”, commenta la maestra. In un’altra aula invece ci sono tavoli da sei e un cerchio di panche per il momento dell’incontro. “Qui si fa l’appello, la colazione, lo spuntino, si cantano canzoni e si discute di cosa abbiamo visto in gita”.

La prima attività la prenotano su un tabellone al mattino appena arrivano a scuola. Poi quando sono stanchi si scambiano tra di loro. “Di solito non litigano, tutti vogliono fare di tutto”

I ragazzi più grandi fanno più fatica a separarsi dai loro zaini. Così alla secondaria di primo grado “Ersilio Cozzi” (dell’Istituto “G. Mariti”) è stata trovata un’alternativa: gli studenti entrano con lo zaino in spalla ma appena mettono piede in aula lo svuotano. Lorenzo Brogi, il professore di lettere, ci racconta cosa accade: “Ognuno di loro dispone di un proprio cassetto dove infila libri e quaderni, li può lasciare lì senza portarli per forza a casa. Astucci e diario sono personali. La classe – prosegue – è distribuita a isole di banchi da quattro posti. I ragazzi ruotano una volta al mese, i gruppi sono eterogenei. Quando c’è la verifica separo i banchi e li metto in fila”.

Ogni gruppo elegge un referente per appello e comunicazioni con l’insegnante. Tutti insieme nominano ogni due mesi due rappresentanti, un “sorvegliante” (per il cambio d’ora) e uno “spazzino”, che ha il compito di avvisare i compagni quando la classe è sporca. “Cinque minuti prima della fine di una lezione fanno il cambio di materiale per l’ora successiva, così al suono della campanella stanno seduti, si evita il caos nei corridoi e perdite di tempo. Le lezioni, almeno le mie – conclude il prof. – al 40 per cento sono frontali, il resto le faccio ai tavoli in momenti diversi. Affido molti lavori di gruppo. La capacità di cooperazione e il senso di responsabilità pesano parecchio nella pagella”.

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