Dieci giorni appena. Tanto è durata la «moschea» di Venezia, installazione inaugurata ai primi di maggio in Laguna. Ricavata nel padiglione islandese della Biennale dall’opera di Christoph Büchel, la moschea ha dovuto infatti chiudere i battenti venerdì. Intorno alle 10.30 sono arrivati quattro vigili urbani in borghese, a chiedere conto della mancata chiusura della moschea di Cannaregio già decisa giovedì con il provvedimento della Prefettura notificato nella mattinata di venerdì. Diversi i piani di contestazione: dal divieto di utilizzo durante l’orario di apertura al pubblico dello spazio interno dell’ex chiesa per finalità diverse da quelle di una mostra espositiva al divieto di trasformare il padiglione in un luogo di culto passando per le modalità di ingresso del pubblico (non erano ammessi limiti diversi da quelli standard di una mostra d’arte, quindi ad esempio non era ammessa la richiesta del velo) e la violazione delle norme sulla sicurezza dei luoghi.

Insomma un elenco lunghissimo al quale gli organizzatori potranno rispondere ricorrendo entro 60 giorni al Tar. E questa sembra essere l’intenzione annunciata dai curatori del padiglione. Ieri, poco dopo la chiusura, sulla porta campeggiava una scritta: «Islandic pavillon closed by municipalità di Venezia». L’hanno attaccata Zaccaria Mattei, referente del progetto del padiglione Islanda su Venezia e i custodi che per giorni hanno aperto e chiuso la chiesa di santa Maria della Misericordia, dove Christoph Büchel, l’artista svizzero islandese aveva ricreato una moschea. L’ultimo passaggio, questo, di una vicenda complessa che ha visto pochi giorni fa anche la consegna delle carte alla Procura considerato anche il mancato rispetto della Scia (segnalazione certificata di inizio attività) presentata dall’artista il 27 aprile. E ieri sulla faccenda è intervenuto anche il commissario Vittorio Zappalorto: «Sono partiti con intenzioni diverse rispetto alla dichiarazione di Scia, hanno giocato sull’ambiguità abbiamo controllato tutto e abbiamo verificato che le prescrizioni non erano state rispettate. In questi casi la legge prevede la revoca».

Ma se per i membri della comunità musulmana si è trattato solo dell’ennesima delusione, che secondo Mohammed Amin Al Ahdab, presidente della comunità musulmana di Marghera «sarà un cerino in un fienile e farà male all’immagine di Venezia» per l’icelandic art center, che era incaricato dal Ministero della cultura islandese di occuparsi dell’allestimento della moschea non è detta l’ultima parola. Il ricorso al Tar ci sarà certamente. E già ieri sono arrivate per il Comune di Venezia e anche per Biennale parole di fuoco. «Per mesi il curatore ha soddisfatto ogni richiesta del Comune risolvendo ogni ostacolo che è stato presentato – dicono nello statement ufficiale – col risultato che il Comune ha posto nuovi ostacoli e presentato nuove obiezioni come se il padiglione non fosse un padiglione ufficiale invitato dalla Biennale. La cosa più grave, però, è che nemmeno la Biennale di Venezia ha supportato il progetto artistico, cosa che ci si sarebbe aspettati da un’organizzazione di tale importanza per l’arte contemporanea». Righe di fuoco, insomma, che lasciano presagire che non sia affatto finita qui.

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