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Derivati, spiegateci la probabilità del buco

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Immaginate di incontrare un indovino che vi pronostica: “C’è la probabilità che domani facciate un incidente d’auto”. Quale sarebbe la vostra domanda successiva? Vi informereste su quanto è alta questa probabilità. E poi magari uscireste di casa a piedi o, almeno, vi sforzereste di guidare con prudenza. Il ministero del Tesoro, invece, si limita a comunicare che i derivati sul debito pubblico hanno un valore di mercato attuale negativo di 42,6 miliardi. L’equivalente di un incidente d’auto piuttosto serio per la finanza pubblica. Ma non dice la probabilità che questa perdita potenziale diventi reale.

I derivati sono contratti di assicurazione, servono per proteggersi da eventi negativi. Se si stipula un contratto per assicurarsi contro il rialzo dei tassi di interesse e i tassi scendono, lo Stato ci rimette. Se i tassi invece salgono ci rimette la banca che è la controparte del ministero. L’Upb, l’Ufficio parlamentare di bilancio, è l’autorità indipendente voluta dall’Europa nell’ambito del Fiscal compact e guidata dall’economista Giuseppe Pisauro. Nell’ultima audizione parlamentare, pochi giorni fa, Pisauro ha sollevato un paio di temi interessanti. Il primo è che il Tesoro dovrebbe spiegare per ogni contatto “l’entità dei pagamenti netti impliciti ad esso sottostanti e le associate probabilità per ciascuno dei semestri successivi alla data di valutazione e fino alla data corrispondente alla scadenza del contratto con maggiore vita residua”. Se i 42,6 miliardi di valore negativo teorico sono dovuti al fatto che i tassi di interesse sono scesi invece di salire, è assai probabile che una parte di essi diventino perdita secca già quest’anno e il prossimo visto che in Europa i tassi difficilmente saliranno prima del 2017.

Ma di quanto sarà questa perdita? Circa 4,3 miliardi come negli ultimi anni o magari 5, 35 o soltanto 2? Mistero. Eppure il Tesoro lo potrebbe rivelare senza compromettere quella esigenza di riservatezza che impedisce al ministro di rivelare i dettagli dei contratti con le banche.

Il secondo punto notevole dell’intervento di Pisauro è l’affermazione che “è probabile che in passato l’esigenza di copertura assicurativa non abbia costituito l’unica motivazione del ricorso ai derivati e che un ruolo abbia svolto anche quella di migliorare il quadro dei conti”. Nell’ultimo anno sono cambiate le regole contabili europee e abbellire i bilanci pubblici coi derivati è diventato quasi impossibile.

A maggior ragione sarebbe utile fare un ulteriore passo verso la trasparenza. Dopo la sentenza della Consulta sulle pensioni che ha creato un problema al governo da quasi 18 miliardi, ci mancano solo cattive sorprese sui derivati.

Il Fatto Quotidiano, 20 maggio 2015

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