Partire per ritrovarsi. Non è solo un modo di dire, ma la storia di tanti connazionali che dopo aver lasciato l’Italia hanno fatto marcia indietro, nonostante la crisi. Come Chiara Viganò, 28 anni, che oggi ha le idee più chiare: “Lamentarsi e scappare all’estero non serve a risolvere i problemi dell’economia italiana. Bisogna portare il cambiamento qui, non fuori”. Così lo scorso settembre ha salutato Bangkok, perché troppo lontano da casa, e si è rimessa in gioco in Italia. Nata e cresciuta a Como, una laurea in Relazioni internazionali a Milano, ha tentato di reinventarsi un futuro anche nelle regioni del Centro-Sud.

“Non avevo voglia di stare al Nord, le città sono cupe” spiega. Il settore del commercio estero è quello per cui ha fatto domanda ma nessuno le ha risposto. Eppure credeva che l’esperienza in Thailandia fosse un buon biglietto da visita. “Ho collaborato per uno studio di consulenza legale e commerciale per un anno e 9 mesi” racconta. Chiara non ha gettato la spugna e ha proseguito nella ricerca a testa alta. Ha scartato alcune offerte, considerandole non all’altezza delle sue ambizioni, e ha partecipato alla selezione per un master in Management e Innovazione all’istituto universitario Sant’Anna di Pisa.

È stata presa e ora è di nuovo in pista. “Ho sette mesi di lezione e uno stage retribuito. Con i soldi messi da parte pago vitto e alloggio. Il master mi serve per affinare meglio certe competenze e aspirare a un posto che faccia più per me”. In Thailandia Chiara ci era arrivata con un tirocinio Mae-Crui all’ambasciata italiana: tre mesi, da settembre a dicembre 2012, e intanto inviava il curriculum nella speranza di sistemarsi. Così è accaduto. “Il lavoro mi piaceva ma non c’era crescita professionale”. E di Bangkok dice: “È attiva 24 ore al giorno, è stimolante per la vista, l’olfatto, il gusto, anche se è difficile fare amicizia con i local, sempre pronti a spellare gli stranieri più ricchi di loro”. Prima di catapultarsi in Asia, aveva rotto il ghiaccio a Londra, dove ha seguito un corso di inglese e ha fatto la cameriera in un pub.

Anche Lorenzo Venturini, 30 anni, ha deciso di tornare sui suoi passi. “A Maastricht avevo un buono stipendio, alla fine del mese riuscivo a mettere via dei soldi, l’ambiente di lavoro era bello, ma non molto gratificante, sapevo che potevo puntare più in alto. Mi ero trasferito mentre scrivevo la tesi, avevo solo 25 anni quindi volevo darmi una chance nel mio Paese. E poi, sembra uno scherzo dirlo, ma il clima olandese, freddo e piovoso, condiziona l’umore”. Per un anno Lorenzo ha lavorato nell’ufficio assistenza clienti di un marchio automobilistico, gli avevano rinnovato il contratto, lui ha rifiutato e non ha avuto paura di affrontare il cambiamento.

“Sono tornato in Italia senza avere un’alternativa pronta. Ho mandato il curriculum alle agenzie interinali e a vari siti web di annunci di lavoro. Tempo due mesi e ho trovato quello che volevo”. Dalla provincia di Cremona si è spostato a Firenze: un’azienda di abbigliamento di lusso gli ha offerto prima sei mesi di stage, poi un contratto a tempo determinato, e dopo altri sei mesi uno indeterminato. “L’esperienza all’estero ha contato parecchio” assicura. Lorenzo è laureato in Lingue. Prima dell’Olanda, mentre frequentava ancora l’università, era volato a Sidney per uno scambio interculturale di sei mesi. “Un soggiorno fantastico. Appena rientrato dall’Australia, avevo già voglia di rifare le valigie. Ho contattato un’amica che viveva a Maastricht e che ha girato il mio cv all’azienda di auto. Un colloquio via skype e dopo due mesi ero già là”. Ogni tappa è stata utile per la meta di adesso.

“Sono andata via per mettermi alla prova e imparare l’inglese. Mi ero data un anno di tempo. Oggi sono felice di essere a casa. In Australia è difficile farsi degli amici, io stavo più che altro con gli europei. Lì è tutto nuovo, funziona tutto, ma i posti sono senza storia, la gente passa il tempo libero nei grandi magazzini. In Europa invece hai la sensazione di avere delle radici”. Giulia Secco, 29 anni, è tornata a Biella il primo febbraio più sicura: “In Italia non accetterò mai più uno stage, né cederò ai ricatti, né mi farò sfruttare per una paga bassa. Pretendo dignità, ormai sono grande e ho tanta esperienza alle spalle. Qui non mi vogliono? Me ne vado in un altro Paese. In Australia ho capito che si può vivere spensierati. Se non cambio io per prima, nessuno potrà farlo per me”.

Giulia è una psicologa e prima del lungo viaggio lavorava nelle risorse umane di una multinazionale di alberghi a Milano. “Non ero più entusiasta della mia vita. Mi sentivo già arrivata al capolinea. Potevo solo continuare a fare quello che facevo. A Milano spendevo tutto quello che guadagnavo. Se avessi voluto aprire uno studio mio, con dei pazienti, avrei dovuto fare la scuola di psicoterapia, almeno altri quattro anni di studio e tante spese. Non potevo farmi mantenere dai miei, allora ho preso un biglietto per Melbourne e mi sono lasciata aperta tutte le strade”. Per i primi quattro mesi ha fatto la ragazza alla pari. Poi ha comprato un campervan usato e con un’amica ha girato lo stato del Queensland e del New South Wales. È stata via tre mesi, il visto era scaduto e anche se il piano era tornare a casa ha preferito rinnovarlo. Come? Lavorando nelle fattorie per 88 giorni, come richiesto dalla legge australiana. “Mal che vada so che fino ai 31 anni ho la possibilità di tornare là”.

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