In attesa del prossimo decreto del Jobs Act, che sarà presentato venerdì 20 in consiglio dei ministri, c’è ancora poca chiarezza su cosa intenda fare il governo in tema di contratti di collaborazione. Nell’incontro del 18 febbraio con i sindacati, il ministro Giuliano Poletti si è limitato a indicare le linee guida del provvedimento: l’unica certezza sembra che le varie tipologie di contratti a progetto non saranno eliminate del tutto, ma ridotte e modificate. E che, nell’attesa dell’intervento del governo, i nuovi contratti di collaborazione a progetto saranno bloccati. “Il ministro è stato molto generico, francamente non ho capito dove vogliano andare a parare – spiega Guglielmo Loy, segretario confederale Uil, presente all’incontro – Sicuramente, non ha detto che il governo cancellerà le collaborazioni. Ad oggi non si vede riscontro della grande affermazione secondo la quale sarà abolita la precarietà“. A quanto riferisce il sindacalista, il governo individuerà “una nuova modalità di prestazione d’opera a metà strada tra lavoro subordinato e autonomo, ma non si capisce come sarà e il ministro non è stato chiaro su quando lo faranno”.

Da parte sua, al termine dell’incontro, Poletti ha parlato di una “partita molto delicata” e ha spiegato che “tirare una riga su questo contratto (le collaborazioni a progetto, ndr) è molto complicato”. Il governo, secondo quanto precisato dal ministro, intende ridefinirne le varie tipologie “senza creare una nuova forma contrattuale”, ma riformando piuttosto il vecchio contratto “per chiarire meglio i confini tra lavoro subordinato e lavoro autonomo”. Sui co.co.co, invece, l’esecutivo procederà valutando “ogni specificità, sia per quelli pubblici che per quelli privati”. In attesa che l’esecutivo ridefinisca la tipologia contrattuale, i nuovi contratti di collaborazione a progetto saranno bloccati, ha spiegato Poletti. Per quanto riguarda quelli attualmente in essere, invece, “occorrerà trovare una modalità di gestione transitoria”. “Il governo – aggiunge Gigi Petteni, segretario confederale Cisl, anch’egli presente all’incontro – intende stringere le griglie per spingere le varie forme contrattuali verso il lavoro subordinato e verso quello autonomo. Inoltre, il ministro ci ha ribadito l’impegno a cancellare la forma dell’associazione in partecipazione”.

Ad aspettare i contenuti del decreto del Jobs Act sono soprattutto i lavoratori con contratto a progetto, un esercito di mezzo milione di persone, composto in prevalenza da donne, con un reddito medio inferiore ai mille euro al mese. Secondo l’ultimo rapporto dell’Inps riferito al 2013, i collaboratori a progetto sono 502.834, 266.925 dei quali donne con un reddito medio per l’anno considerato da collaborazione di 10.218 euro. Per le lavoratrici il reddito medio è poco meno della metà di quello degli uomini con 7.035 euro denunciati nel 2013 contro i 13.820 medi dei colleghi. La forma contrattuale dell’associazione in partecipazione, invece, che il governo si appresta ad abolire, riguarda 41.894 persone con un compenso medio annuo ancora più basso di quello dei collaboratori a progetto (8.446 euro, 7.703 medi per le donne, 9.221 medi per gli uomini).

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