da black jezusda Black Jezus è un progetto folk-soul in attività dal dicembre del 2012, nato dall’incontro tra due ragazzi siciliani, Luca “da Black Jezus” Impellizzeri  (voce, testi, arrangiamenti e chitarre) e Ivano “Hap” Amata (chitarre, xilofono e beat). L’esigenza primaria relativa alla genesi del progetto è di esplorare, vocalmente nonché localmente, territori sonori inediti che si spingono ad abbracciare buona parte della cultura musicale nera.

Don’t mean a Thing, il loro disco d’esordio, è un ep di love songs, tendenza magistralmente colta dalla copertina disegnata da Francesco Toscano. La cronaca di un amore che finisce male e che, attraverso la musica, riesce a guidare verso una piena redenzione. È un ep di blues, dove per blues s’intende uno stato d’animo più che le canoniche 12 battute; una filosofia, ma anche musica dell’anima e per l’anima.

Riguardo al nome, spiegano: “da Black Jezus è un’espressione in slang relativa a diversi contesti afroamericani, culturali, musicali e non. Earl Monroe, talentuoso cestista attivo negli Anni 70 con i New York Knicks, era soprannominato Black Jesus. E Black Jesus era anche un pezzo del compianto rapper 2Pac. Il loro nome sottintende il lato oscuro precedente alla grazia, la luce dopo il buio”. È un disco che il duo desidera che venga considerato, dall’ascoltatore, “minimal poiché semplice, rivoluzionario poiché onesto. Vorremmo che venissero colte le nostre radici geografiche reinterpretate in black. Che, come disse Raiz (leader degli Almamegretta, ndr) qualche anno fa, in fondo siamo tutti quanti Figli di Annibale. Il delta blues e il soul targato Troina, Enna”. Del resto, proseguono, “avvertiamo, nella scena indie italiana, un certa tendenza al sarcasmo periodico e al calpestare sempre lo stesso suolo sonoro. La nostra massima ambizione è cercare di delimitare un suolo sonoro e autoriale tipicamente, esclusivamente nostro”.

Riguardo ai brani, la title track parla del pericoloso germe dell’indifferenza che può insinuarsi in ognuno; Call you mine e I’ll be dry sono due blues che affrontano i concetti di perdita e redenzione; It’s a long way, baby è il soul dell’amore ardente di una notte. Chiude il disco Sometimes, brano che parla delle trappole della vita, di “carri armati che invadono il mio giardino”, ma poi si guarda negli occhi la propria amata, e ci si dimentica della pioggia. La luce dopo il buio, appunto.

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