Cinema

Torino Film Festival, il docufilm “Qui” sui No Tav della Val di Susa

“Ho fatto un documentario partigiano, ma non fazioso perché non voglio convincere nessuno”, spiega Daniele Gaglianone al fattoquotidiano.it. Dieci storie e testimonianze autentiche. Clip in esclusiva per il Fatto.it

di Davide Turrini

La lotta è “qui” e ovunque. Al 32esimo Torino Film Festival irrompono le ordinarie storia di vita quotidiana dei No Tav in Val di Susa. Il documentario è intitolato Qui; il regista è Daniele Gaglianone; loro, i valligiani, più o meno celebri, più o meno bizzarri, più o meno incazzati, sono una decina. Testimonianze autentiche e oggettivamente nascoste di chi si è opposto ai lavori della linea ferroviaria ad alta velocità Torino-Lione da una ventina d’anni, per un conflitto inaspritosi dal 2003. Nessun Che Guevara o Camilo Cienfuegos con passamontagna, ma signore e signori in età, qualcuno perfino azzoppato, molti rappresentanti istituzionali della valle.

Gabriella che fa volontariato sociale passeggia quotidianamente attorno alle recinzioni dei lavori Tav a Chiomonte, bacchetta le forze dell’ordine che difendono il cantiere Tav, e con il suo gruppo “Cattolici per la vita” conduce una sessione di preghiera a due metri dalle assordanti trivelle; la famiglia Perino, padre informatico e madre psicologa, che hanno scoperto per caso sul web che la loro casa sarebbe stata letteralmente imprigionata tra cantieri e terrapieni alti 30 metri; l’anziana Marisa, proprietaria di un bed and breakfast che ostacolò l’esproprio di alcuni terreni incatenandosi alle recinzioni con delle manette di un sexy shop; il carabiniere in congedo a cui è stato spappolato mezzo viso per via di alcuni razzi lacrimogeni lanciati a caso; il sindaco di Venaus, Nilo Durbiano (Pd ndr), in prima fila nelle manifestazioni di questi anni, chiamato una notte dal prefetto a Torino per rimuovere con i suoi vigili urbani le barricate con una risposta che va iscritta negli annali: “Eccellenza, la legalità sul mio territorio si ripristina rimuovendo i blocchi delle forze dell’ordine”.

Valligiani, più o meno celebri, più o meno bizzarri, più o meno incazzati, sono una decina. Testimonianze autentiche e nascoste 

“Ho fatto un documentario partigiano, ma non fazioso perché non voglio convincere nessuno”, spiega Daniele Gaglianone al fattoquotidiano.it poco prima della proiezione ufficiale al cinema Reposi, “ho cercato di ascoltare e restituire il modo di sentire delle persone che avevo davanti. Vorrei che il film fosse accolto come occasione di riflessione e non di polemica. Mi accontenterei di un minimo sindacale, se lo spettatore uscisse dal film dicendo: non pensavo che questa lotta fosse anche così; potrei essere uno di questi signori della Val Susa”.

Le riprese di Qui sono state effettuate tra il 2012 e il 2013, con diversi operatori in campo, mescolate poi a qualche raro stralcio d’archivio di alcuni scontri tratti da Youtube dell’infinita telenovela tra No Tav e i rappresentanti “sul campo” dei governi susseguitesi negli anni, tutti favorevoli al tracciato dell’alta velocità: “Questa “grande opera” nasce più dai partiti di sinistra che da quelli di destra, caldeggiata dal Pd, anche se la sua base nella valle non la pensa come i suoi dirigenti”, continua Gaglianone, “chiaro che il nodo fondamentale è che questa gente non si sente più rappresentata politicamente da nessuno. Poi come in tutti i casi paradigmatici di una lotta estrema, anche se la Val Susa non è l’Irlanda del Nord anni ’70, emerge ciò che di latente c’è “qui” nella valle, ma che c’è ovunque. Per questo sono orgoglioso del titolo del documentario, una parola minuta e dimessa, ma che acquista una potenza terribile. Il racconto valsusino quasi trascende la protesta che l’ha generato”.

Le riprese di Qui sono state effettuate tra il 2012 e il 2013, con diversi operatori in campo, mescolate poi a qualche raro stralcio d’archivio di alcuni scontri tratti da Youtube 

Difficile non appassionarsi a queste storie semplici ma orgogliose, questo rigore ideale che si oppone ai “robocop” istituzionali che spezzano ossa e che poi vengono feriti dalla stampella di Guido Fissore, consigliere comunale di Villarfocchiardo, all’incirca settant’anni, per questo arrestato, anche lui tra i dieci protagonisti di Qui: “Guardate, la legalità non è un valore in sé, ma uno strumento della giustizia”, spiega il regista, “se invece il concetto di giustizia diventa sinonimo di legalità si apre un bel problema. La legalità in questi termini è come un coltello da cucina: può essere usato per spalmare il burro sul pane, ma anche per sgozzare”.

Il documentario prodotto da Gianluca Arcopinto avrà una distribuzione particolare: dal 27 novembre a Roma e a Torino, poi il 2-3 dicembre a Milano e, per uno strano scherzo del destino al teatro “Fassino” di Avigliana in Val Susa il 28: “Alla fine per me come regista non importa più chi ha torto o chi ha ragione. A me importa che alla fine di questo viaggio chi ha guardato questi volti e ascoltato queste voci comprenda che è possibile trovarsi nelle loro condizioni e fare le loro scelte, e che tutto questo, qui e ovunque, merita molto rispetto”.

La clip in esclusiva per il Fatto.it

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