La cifra del dramma (agricolo) la dà Ettore, minuscolo produttore toscano, circa 500 ulivi il suo tesoro da condividere con famiglia e amici: “Quest’anno ho versato più lacrime che gocce di olio”. Non scherza. Non è un paradosso o un’esagerazione: è realtà. Come Ettore, altre centinaia di piccoli, medi o grandi produttori hanno vissuto, e stanno vivendo la peggior annata della storia, o meglio, “la peggior annata che la storia ricordi”, ripetono all’infinito tutti gli agricoltori e appassionati coinvolti. La colpa? “Quella finale è da individuare nella ‘mosca olearia’ – spiega Giulio Scatolini, presidente dei Produttori Olivicoli di Perugia e assaggiatore professionista – Ha distrutto l’impossibile, e fermarla è stato molto complicato”, se non inutile.

Risultato: in un paese come l’Italia, primo esportatore al mondo di olio, la produzione in molti casi è crollata del 50 e passa per cento, con regioni come l’Umbria, la Toscana e la Liguria funestate, piante inutilizzabili, olive annerite al momento della raccolta, “tempo perso arrampicarsi, scuotere e portare al frantoio”, racconta Filippo Chiocchini, patron dell’azienda “Podere poggio del sole”. Lui le ha lasciate sull’albero, poi ha scritto un avviso-post su facebook per spiegare la scelta: “Non potevamo garantire la qualità, non potevamo garantire il nostro livello, quindi meglio niente, vendiamo quel che resta della scorsa stagione”. E basta. “È una questione di correttezza, ma la mosca è solo la parte finale di una stagione maledetta”.

Vuol dire: pioggia a giugno, pioggia a luglio, pioggia durante tutta l’estate, terreno zuppo, niente sole, l’habitat perfetto per un insetto “sempre presente, che ha avuto modo di svilupparsi e riprodursi – continua Chiocchini – Il mio vicino ha tentato la strada di prodotti chimici aggressivi, va bene per gli insetti già vivi, ma non per le larve che poi hanno prolificato e comunque distrutto anche il suo raccolto”.

Italia regina dell’export
Disastro, non solo di settore: l’industria olearia vale oggi, e solo per l’export, oltre 1 miliardo di euro, con un fatturato diretto vicino ai 2,5 miliardi, a cui vanno sommati gli oltre 700 milioni dell’indotto, al netto dell’acquisto della materia prima. Ma, attenzione, la questione “mosca” non è solo italiana: “La produzione mondiale dovrebbe scendere del 17 per cento a 2,9 milioni di tonnellate, anche a causa del dimezzamento dei raccolti in Spagna”, spiegano da Coldiretti “e gli effetti si fanno sentire sul mercato con un forte balzo dei prezzi dell’extravergine: negli ultimi 12 mesi i futures sull’olio d’oliva vergine scambiati a Jaen, in Spagna, hanno registrato un’impennata del 17 per cento mentre alla Camera di Commercio di Bari si rilevano quotazioni superiori del 38 per cento”.

Ma l’olio serve, a prescindere, è parte della cultura gastronomica di molti paesi, dieta Mediterranea docet, impossibile prescindere, essenziale scovarlo, per questo “il mercato rischia l’invasione delle produzioni provenienti dal Nord Africa e dal Medio Oriente che non sempre hanno gli stessi requisiti qualitativi e di sicurezza”, denuncia Coldiretti. Alla faccia dell’italianità, alla faccia della qualità, della provenienza e del gusto. “Vede, l’olio non si può alterare vista la sua lavorazione a freddo– interviene Chiocchini –, ma ha un vantaggio per i grandi produttori: difficilmente diventa tossico, è quasi impossibile possa far male, al massimo è cattivo, nulla più”. Quindi è perfetto per i mix, un po’ di italiano, un po’ Nord Africa, un po’ chissà “e magari trovi le offerte nella grande distribuzione con 5 litri a neanche 12 euro – continua Scatolini – assurdo! Ma avete presente quanto costa, di base?”. La risposta è circa 13 euro al litro, tra raccolta, lavorazione, imbottigliamento e distribuzione. “Aspetti, prima una precisazione”, prego, “io sono un contadino, amo questo ruolo, è la mia vita”. Alto, magro, biondo, 36 anni, in teoria appare tutto meno che un appassionato di zappa e vanga, eppure
Giulio Mannelli passa ogni giorno tra i campi, ogni santo giorno dall’alba al tramonto “e quest’anno non lo dimenticheremo. Qui in Umbria io e la mia famiglia possediamo circa 5.000 piante, rispetto allo scorso anno abbiamo raccolto solo il 20 per cento delle olive e in appena otto giorni invece del canonico mese. Ci siamo sbrigati per evitare il totale attacco della mosca, ma il resto è da buttare e poi sotterrare. Anzi, abbiamo già rivoltato la terra per evitare un ulteriore contagio, insomma stiamo già lavorando per il prossimo anno”. Questione mercato: “È paradossale –prosegue Mannelli – ma ora stiamo vendendo in assoluto più del 2013, chi è informato dello scarso raccolto, arriva per un’adeguata scorta. Cosa mi chiedono? Il prodotto vecchio, non si fidano di quello fresco, ma sbagliano, il poco olio ottenuto è buono e con un’acidità dello 0,2”.

La pensa diversamente David Di Renzo, proprietario di un frantoio in Toscana: “Da duemila litri, siamo passati a poco più di 200, ma quest’anno non abbiamo raccolto, abbiamo piuttosto ‘cercato’ le olive sane. Mai vissuta una situazione del genere ed è uscito un prodotto scadente, nonostante sia appena spremuto, sembra già vecchio di tre anni, ha poca fragranza, un sapore che non è il suo”.

Il telegramma eroico del Duce
Anno di tragedia (politica e agricola) 1930, il Duce scrive questo telegramma: “Vittoriosa battaglia combattuta olivicoltori Consorzio comuni circondario Palmi costituisce insegnamento esempio agricoltori italiani e affida costante ulteriore successo. Agli intrepidi combattenti cui è premio l’opera compiuta vivissimo plauso”. La storia si ripete “ma, ribadisco, oggi è più grave di allora – continua Scatolini – anche perché le continue piogge hanno reso vani i tentativi di intervenire con dei prodotti, l’acqua ha ‘lavato’ via ogni intervento, si sono salvate le colture dove il prodotto chimico è finito dentro l’oliva e ha distrutto le larve”.

Ma la questione non è solo in Umbria o Toscana. Vero. Anche tra Ciociaria e Agro Pontino il calo è di circa il 50 per cento, così nelle Marche, mentre in Salento alla mosca si è associata la Xilella, un batterio che ha attaccato ventitremila ettari, a fine agosto erano già duemila le piante malate, e oggi c’è chi alza il numero di quelle contagiate a quindicimila. In questo caso l’unica, amara “soluzione è abbattere, estirpare, bruciare e creare un cordone sanitario intorno alla zona malata per evitare il propagarsi al resto dell’Italia”, ammette Scatolini.

In sostanza, i piccoli produttori, chi raccoglie per la famiglia non ha trovato nulla; chi lo fa per professione ha salvato qualcosa, soprattutto se non è biologico e ha potuto trattare le piante con la chimica; mentre i grandi si sono salvati grazie all’importazione dall’estero e al giusto-mix tra nostrane e chissà. In quest’ultimo caso anche il Duce non sarebbe stato molto soddisfatto per la sconfitta dell’italianità.

Il Fatto Quotidiano, Lunedì 10 novembre 2014

Articolo Precedente

Parco del Gran Paradiso, l’Italia può smettere di piangersi addosso

next
Articolo Successivo

Lezioni di sport/5 – Calcio: Gigi Riva, “Chiudete a chiave i padri troppo ambiziosi”

next