Facsimile della scheda elettorale

Oggi fra le 7 e le 22 “Scotland Decides“, la Scozia decide. Decide se restare la parte nord del Regno Unito, così come la Storia e la Geografia ci hanno insegnato sui banchi verdastri di scuola, o se diventare la più recente nuova nazione d’Europa. Confermando così che da dopo la caduta del Muro di Berlino il caro “Vecchio Mondo” è tornato a vibrare sui suoi confini nazionali come in epoche lontane.

Se la Scozia voterà per l’indipendenza, diventerà la 46esima nazione del continente europeo, la più nuova dal 2008, quando il Kosovo dichiarò la sua indipendenza” così annunciava giorni fa la televisione di Stato canadese, assumendo quel punto di vista tipicamente nordamericano di un’Europa sempre più complicata da capire, nervosa, frammentata e desiderosa di menare le mani, come Putin insegna. Stavolta però la notizia è grossa, e non a caso sui social network l’hashtag #indyref è rimbalzato da Edimburgo alla Nuova Zelanda e ha originato una serie di meravigliose prime pagine sulla stampa.

 

Mi sbaglierò, ma secondo me gli unionisti vinceranno questo refererendum, che intanto brilla per la chiarezza della sua scheda elettorale. Sarà però una vittoria di Pirro, un 51 a 49 o similari, al prezzo di fondamentali ulteriori devoluzioni pro-Scozia. Un risultato che segnerà una spaccatura nella società britannica molto più profonda di quella mai immaginata quando questo referendum fu concesso da Londra. Devo però riconoscere che i politici scelti dal governo del Regno Unito per condurre la campagna in favore del NO hanno sbagliato completamente modo di comunicare. L’ex Primo ministro laburista Gordon Brown, in particolare, è apparso sempre incattivito. Assieme ai suoi colleghi laburisti scozzesi che hanno premuto per il NO ha spinto sul pedale del tentare di spaventare l’elettorato. Una mossa che paga assai meno di chi invece ha invitato l’elettorato a sognare, a essere ottimisti, ad avere speranza.

I sostenitori dell’indipendenza, e dunque del Sì al referendum, hanno fatto chiaramente intendere che questo è il voto più importante della loro Storia. “La Storia della Scozia“, hanno ripetuto, “è nelle nostre mani: lasciamo che a decidere siano gli scozzesi“. I sostenitori del Sì si sentono molto più europeisti dei “burocrati di Westminster”, immagine ficcante per il suo impatto respingente. Perfino il tweet di Obama, probabilmente pregato di intervenire dal Premier James Cameron, ha avuto subito il sapore spiacevole di un’indebita intromissione statunitense in affari di politica interna scozzese e inglese, per di più a poche ore dall’apertura dei seggi: “Il Regno Unito è un partner straordinario per l’America e una forza del bene in un mondo instabile. Io spero che rimanga forte, robusta e unita“, ha scritto l’inquilino della Casa Bianca alle 20.34 di ieri, esponendosi con quell'”io spero” in primissima persona.

 

E c’è poco da fare: Edimburgo (pronunciata alla scozzese “Edinbrà”) ha il fascino, la classe e la maestà delle grandi capitali europee. Carica di storia, di monumenti, di musei, di turismo, di carattere. E soprattutto carica di scozzesi, un popolo davvero differente rispetto agli inglesi. Gli scozzesi sono una via di mezzo fra la gioiosità napoletana e l’organizzazione emiliana. Molto, molto più socialisti ed europeisti degli inglesi, che ormai paiono dividersi fra Tory blu e Tory rossi, entrambi euroscettici. Non lontani dalla mentalità scandinava, ma con un istinto caciarone che proprio manca agli amici del Nord Europa. D’altro canto, vivere in un Paese che regala 20 ore di luce solare d’estate e 20 ore di buio d’inverno non può non avere qualche effetto anche sull’umore delle persone.

Contrariamente ad altre elezioni, non ci saranno exit poll per questo voto. Si saprà direttamente il risultato definitivo, fra le 2 e le 5 del mattino del 19 settembre. Fino al momento in cui scrivo, 4.285.323 scozzesi si sono registrati per votare, vale a dire il 97% degli aventi diritto: mai avuta una percentuale del genere nella storia di questa democrazia. Voteranno per la prima volta anche i più giovani, con gli aventi diritto a includere anche chiunque ha compiuto i 16 anni. La loro scelta è una enorme incognita, anche se diversi analisti sostengono che, in maggioranza, i giovanissimi voteranno per l’indipendenza.

Io seguirò il risultato dal cuore del Regno Unito, o da ciò che eventualmente ne rimarrà, in caso la mia previsione fosse sbagliata. Confermerò così una mia piccola casuale tradizione: quella di trasferirmi ogni volta in un Paese che è sull’orlo di una secessione. Fu così nel 1994-5 per il Canada, è così oggi per il Regno più o meno Unito. Stay tuned.

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