Sono convinto che quel che succede ai libri sia un eccellente indicatore di quel che accade nella società. Le ragioni sono due.

La prima è che siamo immersi in un mondo di informazioni, ma non di conoscenza: testi brevi, videoclip, annunci, stimoli continui che ci distraggono a un ritmo velocissimo. Ma l’informazione non è conoscenza. La conoscenza, il pensiero riflessivo e lento, hanno bisogno di spazio e di tempo. Per questo i libri continueranno a esistere nonostante la mutazione del supporto che potrà essere non solo di carta, ma anche digitale. I libri restano veicoli della conoscenza, non dell’informazione.

La seconda ragione è che il mondo dei libri è sottoposto da quasi quindici anni un’ondata di innovazione continua che ha già stravolto la filiera libraria tradizionale: quella che vedeva nell’alleanza fra editore e distributore il cuore del sistema economico. La chiusura di tante librerie, della perdita di posti di lavoro sono lì a mostrarlo.

Ma quello dei libri non è solo un settore economico come gli altri. È un settore che permette la riproduzione della “conoscenza” nella società, di quel pensiero lento di cui oggi c’è sempre più bisogno per affrontare le sfide che ci stanno di fronte.

L’innovazione nel mondo dei libri incide quindi non solo sulla cultura, ma sulla società intera. E in questo cambiamento c’è un attore “particolare” che nel bene e nel male continua scuotere il mondo dell’economia a partire dai libri: Amazon.

L’innovazione applicata ai libri sta portando Amazon a sviluppare un servizio prototipo di distribuzione di beni tramite droni, come si vede in questo video. È evidente che qualcosa sta cambiando e non riguarda più solo i libri. In meglio? In peggio?

Quel che fa più impressione è che ci sono pochissimi “umani” nel video, in pratica i soli clienti. Gli altri: i librai, i magazzinieri e i postini sono stati soppiantati dalle macchine. Detto in modo meno elegante: sono già stati licenziati.

Ci aspetta un mondo in cui le macchine rubano lavoro alle persone?

E se fosse l’occasione, storica, per rivendicare collettivamente la proprietà del surplus di ricchezza prodotta in termini di tempo di vita? Quando negli anni ’80 e ’90 si discuteva di riduzione dell’orario di lavoro i sistemi tecnici produttivi non consentivano ancora di sostituire – interamente – la macchina all’uomo: e la riduzione dell’orario di lavoro era un’utopia. Ma oggi questa prospettiva comincia ad affacciarsi concretamente all’orizzonte.

Quel che sarà in futuro dipenderà da noi.

 

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