Mezzo milione di euro era diventata un’unità di misura. L’unità di misura per la corruzione, per quello che i giudici chiamano asservimento dell’ufficio pubblico agli interessi privati e per giunta criminali. Mezzo milione, secondo i magistrati, è finito a Marco Milanese, il “bottone” che gli imprenditori del Consorzio Venezia Nuova hanno spinto nel 2010 per sbloccare i finanziamenti del Cipe per il Mose. Mezzo milione per il generale Emilio Spaziante, che per mesi ha fornito alle persone sotto inchiesta e intercettate informazioni sulle indagini in corso, sui telefoni sotto controllo, sul lavoro della Guardia di Finanza, cioè il corpo a cui Spaziante ha prestato giuramento e del quale è un altissimo ufficiale. Certo, il generale – che è stato tra l’altro anche vicecomandante delle fiamme gialle, 3 anni dopo i fatti contestati – probabilmente sapeva che il prezzo per sporcare la divisa era molto più alto: secondo quanto scrive il giudice Alberto Scaramuzza, di milioni di euro infatti ne aveva chiesti due. Ma i corruttori non riuscirono a trovare una cifra tanto alta. 

Secondo la ricostruzione degli inquirenti è anche una storia di corruzione quasi d’altri tempi: ci sono borsoni pieni di soldi che girano da una parte all’altra d’Italia: in alberghi, bar, sedi d’azienda. Dalla Lombardia al Veneto, fino a Roma. Gente che procura i soldi, gente che li trasporta, gente che li riceve. C’è chi come Marco Milanese – allora parlamentare Pdl e principale collaboratore dell’allora ministro dell’Economia Giulio Tremonti – non prende nemmeno particolari precauzioni: telefona, scrive messaggini. C’è chi come il generale Spaziante crede di poter ingannare i colleghi che stanno indagando spegnendo il cellulare durante gli incontri con gli imprenditori. Una ricostruzione partita con intercettazioni, cimici negli uffici, appostamenti e pedinamenti e poi confermata dalle confessioni di molti dei protagonisti, definite dai giudici “convergenti”.

La rete di conoscenze nella politica romana e nei ministeri
Appena si presentava un problema le società più importanti del consorzio (guidate da Alessandro Mazzi, Piergiorgio Baita e Stefano Tomarelli, oltre al presidente Giovanni Mazzacurati) mettono mano al portafogli. Il primo ostacolo sulla strada degli interessi degli imprenditori veneziani è dunque il blocco dei finanziamenti da parte del Cipe. Il ministro Tremonti non vuole includere i fondi anche per il Mose: 400 milioni che il Consorzio Venezia Nuova sta aspettando. A avvertire, alla fine di aprile del 2010, dell’esclusione dell’opera veneziana dal programma di spesa del Fas (Fondo aree sottoutilizzate) è Lorenzo Quinzi, capo di gabinetto di Tremonti: quei 400 milioni, spiega Quinzi a Mazzacurati, sforerebbero la percentuale del Fas prevista per il sud (15%).

A quel punto parte la caccia di Mazzacurati a qualcuno che faccia cambiare idea al ministero. E il tempo che manca è pochissimo: una settimana. Programma appuntamenti con il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta, con Ettore Incalza, capo della struttura tecnica del ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti guidato allora da Altero Matteoli, con Claudio Iafolla che di Matteoli è il capo di gabinetto. Mazzacurati chiama tutti “dottore”. Ha diverse conoscenze tra i politici. In un interrogatorio del luglio 2013 dopo essere finito ai domiciliari alla fine di una prima fase dell’inchiesta racconta: “Letta l’ho conosciuto tra il 1996 e il 1997, la data esatta non me la ricordo. Mi ha portato dal dottor Letta il presidente Galan. Il dottor Letta è stato per i nostri progetti un riferimento molto importante, io mi sono rivolto molte volte a lui per un sacco di problemi: la ragione principale credo era dovuta all’importanza del progetto (il Mose, ndr) che era anche un progetto che spiccava anche all’estero: per esempio alcune volte il dottor Letta mi ha portato da Berlusconi perché voleva sapere a che punto eravamo”. Nello stesso interrogatorio Mazzacurati – vista la situazione – precisa che “il dottor Letta in questi anni non ha mai chiesto nulla”.

Meneguzzo, l’infaticabile intermediario 
E alla fine Mazzacurati cerca, appunto, Milanese. Vuole però tenere segreto, secondo i magistrati, l’incontro con il consigliere di Tremonti. Qui si inserisce la figura di Roberto Meneguzzo, anche lui tra gli arrestati: è il fondatore della Mediobanca del Nordest, amministratore delegato della Palladio Finanziaria. E’ lui, Meneguzzo, che arriva a Milanese. Al telefono con Mazzacurati lo chiama il “nostro amico”. “Ho sentito il nostro amico, mi pare che l’incontro sia stato utile” dice al telefono la sera del 29 aprile. Più avanti Mazzacurati, nella stessa conversazione intercettata, conferma: “Diciamo, è stato efficacissimo il nostro”. Quello che agevola il risultato è che il Cipe viene rinviato di una settimana. Già l’11 maggio l’obiettivo è raggiunto: “Volevo dirle che m’ha chiamato il nostro amico, allora mi ha detto che è confermato che domani va il Mose in Cipe” dice Meneguzzo a Mazzacurati, intercettato al telefono. Aggiunge anche, precisano i magistrati, che Milanese ha detto di interrompere qualsiasi contatto con il ministero delle Infrastrutture perché “stanno facendo casino” e perché ormai è lui, il collaboratore di Tremonti, a occuparsi della questione. E in effetti la questione è risolta: il 13 maggio 2010 il Cipe adotta la delibera con la quale 1424,2 milioni di euro finanzieranno opere prioritarie. Tra queste, appunto, c’è il Mose. 

Lo sblocco dei finanziamenti del Cipe
Quello stesso giorno Paolo Emilio Signorini, capo del Dipe, braccio operativo del Cipe, chiama il presidente del Cvn, Mazzacurati: “L’Economia (nel senso del ministero, ndr) mi è sembrata decisissima su questo quindi direi che la riserva di soldi c’è, ora fanno una norma…”. I magistrati appuntano che in definitiva l’intervento di Milanese è stato “determinante”. Tutto è sistemato. Quasi: ora bisogna “regolare la cosa” come dice Mazzacurati. Cioè bisogna saldare il conto, è la “traduzione” del giudice, con Meneguzzo “l’intermediario” e Milanese. Gli imprenditori delle principali società consorziate si mettono d’accordo e danno l’assenso per la raccolta e la destinazione del denaro: mezzo milione di euro per Milanese. “E’ Milanese che fa la richiesta, ma è Meneguzzo che suggerisce la cifra” spiega Mazzacurati in un interrogatorio. 

L’inconveniente: la verifica fiscale della Finanza
Ma proprio l’11 giugno,  giorno in cui si dovrebbe completare il pagamento, nella sede della Palladio di Meneguzzo, a Vicenza, ecco un altro problema. Arriva la Finanza nella sede del Cvn per avviare una verifica fiscale. E se i finanzieri arrivano alle dieci meno un quarto del mattino, già alle sei meno un quarto parte la “procedura d’emergenza” del Cvn: Mazzacurati si incontra di nuovo con Meneguzzo, una riunione che per il giudice è servita anche a parlare dell’ispezione delle fiamme gialle. E infatti cosa succede? Che quel giorno intorno alle 16 il generale Emilio Spaziante, comandante della Guardia di Finanza per l’Italia centrale, si precipita in viaggio verso nord. O meglio: verso Venezia. Il ritmo è serrato, non c’è tempo da perdere. Il giorno dopo, il 12, Mazzacurati manda il verbale della Finanza (quello della verifica fiscale) a Meneguzzo, in albergo a Venezia. Quest’ultimo incontra il generale Spaziante al Lido di Venezia, secondo i magistrati, per mostrargli il verbale. Subito prima, in mattinata, l’alto ufficiale della Guardia di Finanza aveva chiamato il collega Walter Manzon, che in quel momento è il reggente del comando provinciale di Venezia, cioè il superiore di coloro che stanno conducendo le indagini sul Cvn. Il 13 giugno Spaziante parla ancora due volte al telefono con il generale Manzon. Infine il 14 nella sede di Milano della Palladio finalmente Milanese riceve il suo compenso, secondo chi indaga. Ma questo incontro, scrive il gip, ha un doppio effetto. Il primo: sblocca definitivamente i 400 milioni per il Mose. Il secondo: un nuovo accordo che inserisce nella squadra di “facilitatori” presunti prezzolati non solo Milanese e Meneguzzo, ma anche Spaziante, il cui compito era – sempre secondo le accuse – influire sulle verifiche fiscali e sugli eventuali procedimenti penali.

Tutte le informazioni del generale
Per quanto riguarda la prima fase per i magistrati la conferma sono gli incontri che Meneguzzo – apparentemente il perno di molte mediazioni tra politica e aziende del Mose – ha in agenda nello stesso giorno (17 giugno 2010) a Roma, prima direttamente con il ministro dell’Economia Giulio Tremonti e poi con il presidente del consorzio Mazzacurati. Infine l’incontro tra tutti e 4: il 5 luglio si vedono Mazzacurati, Meneguzzi, Milanese, Spaziante. E’ la fotografia di quello che il gip Alberto Scaramuzza definisce pactum sceleris, il patto per il delitto. In due incontri tra settembre e novembre (a Milano e a Roma) Spaziante prenderà la sua parte, ancora una volta cash. In cambio fornirà agli altri, secondo il giudice, quello a cui sono interessati. “Il mio telefonino, me l’hanno detto, è ancora sotto controllo fino alla fine dell’anno – si lascia sfuggire Mazzacurati in un’intercettazione ambientale il 3 dicembre 2010 – Mi hanno detto di una telefonata che hanno registrato col dottor Letta, una con Matteoli“. Le notizie dal generale della Finanza continueranno sempre ad arrivare: è un “sistematico informatore”, dice il gip, commentando l’ulteriore incontro del 23 febbraio 2011, constatato anche da un appostamento dei finanzieri. Spaziante all’inizio di tutta la storia aveva chiesto due milioni, racconta Mazzacurati, ma gli imprenditori si erano rifiutano di dare altro denaro, troppi soldi da trovare anche per loro. E così Spaziante si accontenta. Meneguzzo invece no: la sua Palladio, per la preziosa opera di mediazione con Milanese e il generale, incassa due milioni di euro.

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