C’eravamo lasciati con una domanda: in che modo capitan Cabello ha espulso dall’Assemblea Nazionale la deputata María Corina Machado? L’ha fatto (come qualche commentatore già ha anticipato) invocando un articolo della Costituzione, il 191, che testualmente afferma: ‘I deputati e le deputate non potranno accettare o esercitare incarichi pubblici, senza perdere la propria investitura, salvo in attività docenti, accademiche, occasionali o di servizio, sempre che non richiedano dedicazione esclusiva’.

Sono queste le parole che, giorni fa, hanno provocato – per una decisione del presidente della AN, a brevissimo giro di posta avallata da un’inappellabile sentenza della sezione costituzionale del Tribunale Supremo – la ‘immediata’ decadenza dal mandato parlamentare della Machado. La più votata dei membri della Assemblea Nazionale ha perduto il suo seggio perché pochi giorni prima, a Washington, s’era presentata di fronte al Consiglio permanente della Organizzazione degli Stati Americani per denunciare quella che considera, in sintonia con una non piccola parte dell’opinione pubblica del suo paese, la deriva autoritario-dittatoriale del governo venezuelano. E soprattutto perché per farlo (o meglio, per non farlo, visto che il catenaccio procedurale frapposto da Venezuela & Friends glielo aveva di fatto impedito) aveva accettato il seggio per l’occasione cedutogli dal governo di Panama.

Dura lex, sed lex, come già si sono premurati d’affermare, nei loro commenti, alcuni ‘pasdaran’ del chavismo? Non esattamente.

Che quanto accaduto a Washington rientri nella normativa delineata dal 191, è infatti – come qualunque persona raziocinante non può non constatare – questione quantomeno controversa. Tanto che, interpellato sulla vicenda, lo stesso segretario dell’OAS, Miguel Insulza, s’era giorni fa premurato di sottolineare come la Machado si fosse rivolta al Consiglio Permanente nelle sue vesti, non di funzionaria panamegna, bensì, a tutti gli effetti, di deputata venezuelana. E questo seguendo una pratica già collaudata in molte altre circostanze. L’ultima, nell’anno del signore 2009, quando, ai tempi del golpe contro Manuel Zelaya, Patricia Rodas, ex-cancelliere honduregna, era intervenuta grazie alla ospitalità concessale proprio dal governo venezuelano. O come accadde nel lontano’79, quando la stessa Panama offri il proprio seggio al rappresentante nicaraguense del FSLN. Tutte cose che lasciano intendere come, in realtà, María Corina Machado non abbia mai, né accettato, né esercitato alcun ‘incarico’ assegnatole dal governo di Panama. E comunque – anche qualora si volesse contro ogni evidenza sostenere che l’abbia fatto – come questo incarico fosse, ai sensi, per l’appunto,dell’articolo 191, del tutto ‘occasionale’.

Il punto vero, o meglio, il vero scandalo non sta tuttavia nella ridicola interpretazione che di quell’articolo hanno dato prima capitan Cabello e, poi, con molto supina rapidità, il Tribunale Supremo. L’orrore della vicenda sta – come dovrebbe essere a tutti evidente – nel fatto che alla deputata espulsa, innocente o colpevole che sia, è stata in termini vergognosi negato quel diritto al giusto processo che, ovunque esista un minimo di civiltà giuridica, è alla base d’ogni Costituzione. María Corina Machado è stata privata del diritto alla difesa, condannata senza processo. E, per di più, condannata dal suo medesimo accusatore: quel capitano Diosdado Cabello che a sua volta – i dettagli grotteschi non fanno mai difetto nel Venezuela dell’ ‘eterno’ Hugo Chávez – si porta addosso, in guisa di grado militare, le prove del suo assoluto disprezzo per le norme costituzionali. Senza che il TSJ dicesse ‘bah’, s’è infatti recentemente di fatto autopromosso, il Cabello, da tenente a capitano, in barba agli articoli costituzionali che affermano che i militari in servizio attivo non possono avere incarichi politici (il che implica che se incarichi politici hanno, non possono considerarsi in servizio attivo e, conseguentemente, ottenere alcun elevamento di grado).

Questa sentenza senza processo del Tribunale Supremo – che, per l’occasione, neppure s’è preoccupato di salvare le forme, esibendosi nel più servile degli inchini di fronte a Cabello, uomo forte del regime – suggella la morte, già da tempo consumatasi, dell’indipendenza del potere giudiziario e dello stato di diritto. Ed è il punto d’arrivo d’una parabola infame lunga, in pratica, quanto i quindici anni di chavismo. Qualche ricordo sparso.  2006, inaugurazione dell’anno giudiziario. I giudici del TSJ – e quelli ordinari, presenti in platea – che in piedi (vedi video) salutano l’ingresso del comandante supremo scandendo lo slogan ‘uh, ah, Chávez no se va. 2009: la presidente del TSJ, Luisa Estela Morales, che apertamente teorizza, subito applaudita dall’ ‘eterno’, come ‘la divisione dei poteri’ debiliti ‘lo Stato rivoluzionario’. Anno 2012: la stessa Luisa Estela Morales che, nel suo discorso per la inaugurazione dell’anno giudiziario, solennemente s’impegna a sviluppare, sul fronte giudiziario, il ‘piano socialista della Nazione’ (di fatto la piattaforma elettorale del partito di governo). Con un altro dei giudici della suprema corte, Arcadio Delgado Rosales, che, approfondendo il tema, non esita a spiegare, nel suo discorso, come la fine della divisione tra i poteri si giustifichi  alla luce della dottrina di Carl Schmitt, teorico dello ‘stato totale’ al quale si ispirò il nazismo.

Una storia vecchia. Una storia che continua….

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