Si deve, innanzitutto per un fatto banalissimo: abbiamo le tariffe più basse d’Europa, tra i paesi importanti. Spesso molto più basse. E spesso queste basse tariffe sussidiano i ricchi, cioè non sono nemmeno mirate a categorie sociali particolarmente deboli.

Si badi, è perfettamente legittimo sussidiare i trasporti; ma a questo stravagante livello, semplicemente non possiamo più permettercelo.

Il commissario Cottarelli propone tagli che dovranno essere approfonditi ed articolati (e probabilmente anche aumentati, come vedremo), ma sul punto dei tagli non ci sono ragionevoli dubbi. E non solo a causa delle basse tariffe.

Il settore può essere diviso tra trasporti pubblici locali, TPL, (in gran parte su autobus) e trasporti ferroviari. Iniziamo dai primi.

Un recente studio della Cassa Depositi e Prestiti, molto articolato e completo, mette in luce ben altro che le basse tariffe. L’Italia ha anche un elevato tasso di evasione, soprattutto al Sud, altissimi costi per produrre il servizio (cioè quanto costa far viaggiare ogni autobus), e una dotazione ricchissima di servizi (cioè quanti autobus viaggiano e per quanti chilometri,  ogni abitante).

Queste medie, come sempre le medie, possono poi rappresentare male alcune situazioni specifiche, ma non lasciano dubbi sulla voragine dei conti pubblici che il settore apre nel suo complesso.

Il settore è quasi tutto pubblico, i padroni sono per grande parte i comuni, e la voragine è evidente da anni, senza che si sia fatto mai nulla. In realtà qualcosa si era tentato, più di un decennio fa (lo scrivente ci aveva partecipato): una riforma dolcissima, che non prevedeva né liberalizzazioni all’inglese, né privatizzazioni di sorta. Si trattava solo di mettere in gara periodica i servizi, cioè di fissare tariffe, frequenze, linee, fermate (tutto quello che interessa la socialità del servizio), e chiedere con una gara quale impresa chiedeva meno soldi per garantire quel servizio per 5 anni.

Si sono fatte 100 gare, tutte finte e vinte dalle stesse aziende comunali che c’erano prima, senza alcun ribasso. Tanto i comuni sapevano che lo Stato, cioè noi, avrebbe continuato a pagare. Adesso strillano per dei modesti tagli.

Quei sindaci, ovviamente “bipartisan”, meriterebbero  ciascuno in regalo una maglietta con su un enorme coccodrillo, altro che quello piccolissimo di moda nel tennis.

Veniamo ora alle ferrovie, anch’esse pubbliche al 100%. Dichiarano di fare modesti profitti, ed è verissimo. Quello che dichiarano meno volentieri, comprensibilmente, è che questi profitti sono fatti a valle di circa 7 miliardi di euro che a vario titolo gli diamo noi (cioè lo Stato), ogni anno che iddio manda in terra. Metà glieli diamo per far andare i treni, e metà circa per fare investimenti. Sono ben spesi? Non sembra. E questo non per i soliti lamenti dei pendolari (di cui certo alcuni giustificati, ma molti no). In primo luogo, se le tariffe, soprattutto proprio dei pendolari, fossero più vicine a quelle europee, questi lamenti sarebbero più giustificati.

Ma rimanendo sulla questione tariffe, non sembra chiaro perché quelle dell’alta velocità, che non è molto usata dalle categorie più povere, non debbano ripagare lo Stato, cioè noi, nemmeno di una piccola quota del fiume di denaro pubblico che le infrastrutture per l’alta velocità ci sono costate. Secondo alcuni maligni, tra cui il Sole 24Ore, quei costi sono stati il doppio del ragionevole, ma questa è un’altra storia…..

Quelli che viaggiano in autostrada, di cui moltissimi sono pendolari a reddito medio-basso (vedi una ricerca del CENSIS), oltre che pagare esorbitanti tasse sulla benzina, pagano anche buona parte dei costi di investimento. Ma forse a questi pendolari piace, per ostentare i nuovi SUV…

Sul fronte dei possibili risparmi per le ferrovie, oltre all’adeguare le tariffe, occorrerebbe per esempio anche qui mettere in gara i servizi locali, come hanno fatto con grande successo i tedeschi.

Ed infine non dimentichiamo che sono stati avviati altri grandi investimenti in nuove linee, più o meno veloci, per 33 miliardi circa, che, stando al quadro attuale, dovremo pagarci di nuovo tutti noi, cioè lo Stato. Non è infatti nemmeno noto un singolo piano finanziario che definisca se sono previsti o meno contributi da parte degli utenti, con le tariffe.

E l’argomento più recente di chi promuove a gran voce queste opere, politici e costruttori? “L’Europa lo vuole!”. E’ una sacra crociata. Peccato che chi ha lavorato molti anni per la Commissione Europea sappia benissimo che questi progetti “europei” sono soltanto la sommatoria dei desideri dei singoli paesi, ammantati di un sottile velo di “grande strategia” per legittimarli. Pare che la Commissione avesse cominciato a fare analisi economiche per selezionarli, ma che le analisi “venissero male”, per cui si è optato per una decisione “tutta politica”, fatta col pennarello sulla carta geografica.

Forse qualche modesto taglio allora è anche possibile su questo versante, sarebbe opportuno che fosse in funzione di quanto “buco aggiuntivo” ciascun progetto genera alle casse pubbliche, cioè di quanto sottrae a servizi sociali magari un po’ più urgenti.

 

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