“Per Putin, Maidan ha l’effetto di una bomba mediatica”. A dirlo in un’intervista alla testata russa The New Times, qualche giorno prima che in Ucraina scoppiasse la rivolta, è stato il giornalista ucraino Mustafa Nayyem. Il 21 novembre, con un post su Facebook, ha dato inizio alle proteste in Piazza dell’Indipendenza a Kiev (Maidan Nezalezhnosti). A confermare che il presidente russo sia preoccupato da un possibile “contagio” delle piazze di Mosca (ieri erano in 50mila a manifestare) a causa delle protesta a Kiev, è un giro di vite, tuttora in corso, verso i media russi indipendenti.

Il 13 marzo, a ridosso del referendum in Crimea, sono stati oscurati i siti autonomi Grani.ru, Ezhednevnyj Zhurnal e Kasparov.ru, quest’ultimo gestito dall’ex campione di scacchi Garri Kasparov, uno dei leader dell’opposizione russa. A bloccarli è stato il Servizio federale per la supervisione nell’ambito delle comunicazioni (Roskomnadzor). “Roskomnadzor non ha ancora reso noto ai rappresentanti delle testate il motivo e gli articoli precisi per i quali è stata presa la decisone del blocco”, si dice nella dichiarazione dei dirigenti dei rispettivi siti. Mentre per l’oscuramento, sempre il 13 marzo, del blog del leader dell’opposizione Alexei Navalny, ospitato dalla piattaforma Live Journal, una spiegazione ufficiale c’è. Da fine febbraio, infatti, è agli arresti domiciliari, e questo è diventato un pretesto per eliminarlo anche dalla Rete, dove gode di grande popolarità.

Che ci sia un legame diretto, anche se velato, tra la crisi in Ucraina e la campagna del Cremlino contro i media fuori dal coro, lo si vede chiaramente anche dall’improvvisa sostituzione di Galina Timchenko, stimatissima direttrice del sito Lenta.ru che conta 11 milioni di lettori al mese, in favore di un giornalista vicino al Cremlino, Alexei Goreslavsky. Il 12 marzo, quando è arrivata la notizia dell’avvicendamento, che ha fatto esplodere la Rete, Lenta.ru ha infatti ricevuto un avviso da parte di Roskomnadzor. Il motivo è la presenza in un articolo pubblicato dalla testata di un link dell’intervista di Dmirtry Yarosh, leader del movimento nazionalista ucraino Settore destro (Pravyj Sektor), in cui tra l’altro ha detto: “Prima o poi saremo costretti ad entrare in guerra con l’Impero moscovita”.

“Ci aspettavamo che presto sarebbe toccato anche a noi”, hanno scritto in una lettera aperta i giornalisti di Lenta.ru, molti dei quali hanno già dichiarato di voler lasciare la testata con il cambio della direzione. “Nel corso degli ultimi due anni lo spazio del giornalismo libero in Russia si è ristretto drammaticamente. Alcune testate sono controllate direttamente dal Cremlino, altre attraverso i suo emissari, altre ancora dai direttori che temono di perdere il proprio posto di lavoro”, così i giornalisti di Lenta.ru hanno riassunto la situazione dei media russi. Alcuni rappresentanti importanti dell’intelligentsia russa hanno firmato un appello sul sito della Novaja Gazeta, testata della giornalista uccisa Anna Politkovskaya, in cui legano le repressioni contro la stampa libera al fatto che non si sia allineata con i media del Cremlino nel racconto della crisi in Crimea. “Non è la prima volta nella storia russa che le persone in disaccordo con l’aggressiva politica imperialista dello Stato vengono bollati come disfattisti e nemici del popolo”, si dice nell’appello che fa riferimento al linguaggio usato nell’Urss contro i dissidenti.

Il primo colpo della campagna del Cremlino contro i media indipendenti è stato sferrato contro una delle più grandi agenzie stampa russe, Ria Novosti. L’annuncio della liquidazione dell’agenzia che, grazie alla politica della sua direttrice Svetlana Mironyuk, è riuscita a resistere alla crescente disinformazione, è arrivato il 9 dicembre, nelle prime settimane della crisi in Ucraina. L’agenzia è stata sostituita da una nuova struttura, Russia Today, il cui neo nominato direttore, Dmitry Kiselev, in queste settimane si è scagliato più di tutti contro “il governo golpista e fasciata di Kiev”. Kiselev è ricordato anche per una sua frase omofoba che ha fatto molto scalpore: “Credo che multare i gay per la propaganda dell’omosessualità non sia abbastanza. Bisogna vietare loro di donare il sangue e lo sperma, mentre i loro cuori, nel caso morissero in un incidente automobilistico, dovrebbero essere sepolti o bruciati”. Continua a resistere, nonostante sia stato spinto sull’orlo della chiusura, anche il canale Tv indipendente, Dozhd.

La maggior parte dei provider ha rescisso il contratto con il canale dopo la polemica scoppiata a fine gennaio in seguito di un sondaggio fatto dallo stesso emittente. Una domanda legata all’assedio di Leningrado da parte dei tedeschi durante la Seconda guerra mondiale – “Sarebbe stato meglio consegnare Leningrado per salvare centinaia di migliaia di vite umane?” – ha provocato un’isteria pseudo-patriottica che si è trasformata in un pretesto per far tacere una delle poche voci libere tra i media russi. “Ci è rimasto un mese di vita”, ha detto recentemente la proprietaria del canale, l’imprenditrice Natalya Sindeeva. “Il canale ha perso l’80 per cento degli introiti provenienti dalla distribuzione”, ha spiegato Sindeeva. “Perché il canale possa sopravvivere per qualche settimana in più abbiamo accettato un taglio sullo stipendio del 30 per cento. Riceviamo continuamente delle minacce”, racconta al fattoquotidano.it una giornalista del Dozhd. Che conclude con disperazione: “Quando chiuderemo, non so dove andare. Ci conoscono tutti, e non ci assumerà più nessuno”.

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