Quante volte siete stati coinvolti, sui social network, in sfiancanti conversazioni con persone mai viste, in cui vi siete dovuti confrontare con punti di vista per voi insostenibili, e vi è sembrato che ogni vostro commento venisse sistematicamente travisato? E quante volte, su Facebook e su Twitter, siete stati aggrediti e insultati per aver espresso un pensiero critico? La partecipazione a un forum può avere risvolti molto spiacevoli se, tanto per fare degli esempi, si constata che la maggior parte degli altri utenti condivide opinioni di stampo razzista, o sessista od omofobo, e se gli interlocutori si esprimono con un linguaggio volgare o violento.

In una ricerca condotta col supporto del Laboratory for Comparative Social Research di Mosca che può essere consultata liberamente qui, Francesco Sarracino e io ci siamo chiesti come le interazioni su Facebook e Twitter influiscono sulla fiducia negli altri. La fiducia è un tema centrale nel lavoro degli economisti fin dai tempi di Adam Smith, poiché riduce i costi di transazione, agevola la concessione dei crediti, stimola gli investimenti in capitale fisico e capitale umano e favorisce l’innovazione.

Per valutare l’effetto dei social network abbiamo analizzato comportamenti e percezioni di un campione rappresentativo della popolazione (circa 120mila persone), intervistato dall’Istat nell’ambito dell’Indagine Multiscopo negli anni 2010 e 2011. È la prima volta che una ricerca del genere viene condotta in Italia, e su un campione così grande. Finora gli studi empirici, realizzati soprattutto negli Stati Uniti, avevano potuto analizzare soltanto piccoli gruppi di studenti universitari.

Le nostre stime mostrano che l’uso dei social network aumenta la diffidenza verso gli altri. Nell’analisi empirica, la fiducia viene misurata attraverso due domande, comunemente utilizzate nella letteratura psicologica ed economica. Anzitutto, agli intervistati  è stato chiesto se pensano che ci sia da fidarsi degli “altri”, o se non si è mai troppo prudenti quando si ha a che fare con gli estranei. Quindi, gli intervistati sono stati posti di fronte a uno scenario ipotetico: immagini di aver perduto il portafoglio con dentro documenti e denaro. Quanto ritiene probabile che un estraneo glielo restituisca?

L’analisi empirica mostra che chi usa i social network si fida degli altri significativamente di meno, a parità di sesso, età, livello di istruzione, condizione professionale, status nella professione, luogo di residenza e altre caratteristiche socio-demografiche individuali. Iniziare a usare Facebook o Twitter comporta una diminuzione dell’8% della probabilità di fidarsi degli estranei.
Le tecniche econometriche utilizzate per condurre le stime consentono di tenere conto dei problemi di causalità intrinsecamente connessi a questo tipo di analisi: in teoria, potrebbe infatti essere la tendenza a fidarsi meno degli estranei a determinare l’uso dei social network, o entrambe le variabili potrebbero essere influenzate da altri fenomeni non considerati nel modello.

Come mai c’è questa differenza tra gli utenti di Facebook e Twitter e chi, invece, sviluppa le proprie interazioni sociali esclusivamente di persona? Nelle interazioni “fisiche” generalmente selezioniamo quali amici frequentare, specie quando si tratta di scambiare idee su temi sensibili che coinvolgono le opinioni politiche, l’impegno civile e i valori morali. Su Internet, invece, i meccanismi di selezione sono molto più deboli, se non assenti. Nelle pagine Facebook dei quotidiani o dei personaggi pubblici è molto comune “incontrare” e scambiare idee con persone che la pensano in modo diametralmente opposto rispetto a noi. La rete accoglie un grado di diversità – culturale, sociale ed economica, per esempio – molto più ampio dei nostri ristretti circoli di amici e conoscenti. Entrare in contatto con così tante differenze, tutte insieme, è un’esperienza certamente formativa, ma non necessariamente piacevole e può avere un effetto negativo sulla fiducia verso coloro che non fanno parte della cerchia più stretta di amicizie.

Su Facebook e Twitter, inoltre, i freni inibitori sono più deboli. Ciò è un bene per gli individui più timidi che hanno difficoltà di relazione, ma favorisce la diffusione di comportamenti inutilmente aggressivi.  Il fatto che l’interlocutore sia lontano e “invisibile”, e che le sue reazioni siano  facilmente neutralizzabili (basta un clic) incoraggia comportamenti spregiudicati che in una conversazione “faccia a faccia” non ci sogneremmo mai di tenere.
Nelle polemiche su Facebook ogni manifestazione di dissenso può diventare un modo per tirarsi contro insulti e scherno, anche da parte di persone relativamente miti.

Se a ciò aggiungiamo le difficoltà di comunicazione dovute all’impossibilità di usare la mimica facciale e il tono della voce, di articolare meglio il proprio pensiero e di dibattere in tempo reale – difficoltà che vengono esasperate particolarmente dal limite di 140 caratteri di Twitter – è facile comprendere come le interazioni con gli estranei possano provocare frustrazione e sfiducia.

Tutto questo non fa bene né al nostro benessere  né all’affermazione di un dialogo costruttivo sui temi che ci stanno a cuore. E nemmeno all’economia, se è vero che la fiducia è un lubrificante fondamentale per il buon funzionamento dei mercati. Ragione in più per pensarci due volte, prima di postare sui social un commento inutilmente aggressivo.

Nota: gli altri scritti dell’autore sugli effetti dei social network possono essere consultati gratuitamente sulla sua pagina web.

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