Prima e Seconda Repubblica, poi terza…In realtà, viviamo ormai in una Mezza Re­pubblica, che non solo ha poco a che vedere con la repubblica di prima, ma è ormai alcunché d’intermedio fra repubblica e monarchia. E’ il secondo “governo del Presidente” consecutivo. L’unico precedente è il governo Salandra del 1914, legale – come questo – certamente, ma altrettanto irrituale, e altrettanto lontano dalla maggioranza elettoralmente espressa.

Nel 1914, la maggioranza era senza dubbio di sorta giolittiana. Ma il capo dello Stato scavalcò il leader del centrosinistra e dette – legalmente – l’incarico a Sa­landra, che fu poi confermato dal Parlamento. Nel 2013, le urne avevano espresso una precisa volontà di cambiamento (divisa fra due partiti, che entrambi avevano esplicitamente escluso qualsiasi accordo col centrodestra) ma il capo dello Stato imbrigliò il leader del centrosinistra e dette – legalmente – l’incarico a Letta, che fu poi confermato dal Parlamento.

In entrambi i casi il governo, teoricamente “tecnico” e d‘union sacrée, bloccò le spinte sociali, emarginò la sinistra e affrontò l’emergenza nel modo più catastrofico, liberando spinte eversive e abbassando il livello civile, che già non era altissimo, del Paese.

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Siamo arrivati così al Sudamerica (quel­lo di prima): il capo dei fazenderos mi­naccia i giudici in piazza (né il capo dello stato, Rey o Presidiente che sia, intervie­ne); fra i liberales regna l’anarchia.

Questi ultimi si dividono in due partiti, nemicissimi fra di loro. Il primo, guidato da un caudillo che per i suoi è ”come un padre che ac­compagna un bambino che cammina an­cora carponi”, punta tutte le sue carte sull’imminente révolucion, e non discute nemmeno con chiunque non ne sia più che convinto. Il secondo, fra i suoi nu­merosi caciques, periodicamente elegge un Secretario Généralentusiasticamente acclamato da tutti ma che poi, nel segreto dell’urna, viene sistematicamente trombato dai suoi seguaci.

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 “In realtà, se non facevamo così i tede­schi ci facevano a pezzi – fa trapelare qual­cuno – La banca centrale, i mercati…”. Ahimé, neanche questa è nuo­va. “Tenersi buoni i tedeschi”, “Ordine prima di tutto”, “Tutti col Capo dello Sta­to!” l’han­no già fatto a suo tem­po in Fran­cia, e non con un governo golli­sta (sogno di tanti no­tabili) ma con Pétain.

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S’è vista, in questa crisi, una incredibile differenza di “professionalità politica” – per così dire – fra destra e sinistra. Da un lato l’indeciso Bersani, l’adolescente pre­suntuoso Renzi, il simpatico pasticcione Grillo; dall’altro dei professionisti freddi e duri – i Letta, i Napolitano, i Berlusconi. Non c’era partita.

Ha contato relativamente poco (anche se centouno deputati “tradito­ri” su quattro­cento non son cosa da poco) il “tradimen­to”. A contare è stata la super­ficialità, il personalismo, il leaderismo da quattro sol­di. L’Italia profonda, insomma. Che ormai da molti anni – da quando è ricca – in poli­tica si esprime così. Qua, in questa “auto­biografia della nazione”, bisogna mettere mano. Ma i vecchi non possono farlo.

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Conosciamo diversi trentenni – antima­fiosi militanti – che potrebbero ben dirige­re un partito, fra i giovani del Pd. Sarebbe un cambiamento vero, non de­magogico e di facciata. Potrebbe persino inalberare (cosa che nessuno ora osa o vuol fare) il nome di Berlinguer, chiaro e solare.

Lo accetterebbe, il partito, uno scossone del genere? Un se­gretario di trent’anni? La base, sì certo. Ma quanto conta la base?

Cinque stelle, in parte per loro merito, si son trovati a gestire i ventisette milioni di voti del referendum Rodotà sull’acqua pubblica di due anni fa. Sono all’altezza i Grillo e i Casaleggio, e i loro immediati seguaci, di dirigere un simile movimento? Esistono nel Cinque stelle militanti giova­ni (giovani, ma con una storia precisa, non dei “vaffanculisti” generici di quest’ultima annata) in grado di farlo al posto dei loro vecchi, ormai evidentemente dannosi?

Fra queste due domande – apparente­mente generazionali, ma in realtà profon­damente politiche – si gioca la politica ita­liana di questi anni. Da queste generazioni e dal loro incontro (e l’attuale governo non è stabile, e le occasioni di rovesciarlo non sarebbero poche) noi ci attendiamo la ri­scossa, non dagli anziani capibranco.

Abbiamo ragione – e trent’anni di lotta mai nel palazzo ma sempre orgogliosa­mente dalla strada ci danno qualche diritto di rivolgerci a loro – nell’affidare le nostre speranze a questi giovani, in que­sto difficilissimo momento?

Niente “pacificazione” con i padroni d’Italia, niente guerra fra chi, anche confu­samente, gli vuole andare contro. E un primo momento di lotta e di unità già da subito può essere l’antimafia, come dice don Ciotti.

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