Salvatore Settis ha scritto che una serie di ministri per i Beni culturali come Sandro Bondi, Giancarlo Galan e Lorenzo Ornaghi, «fosse stata a Firenze nel Quattrocento, sarebbe riuscita a insabbiare il Rinascimento». Ce la farà ora il non molto noto Massimo Bray a invertire questa tragicomica tendenza?

C’è purtroppo qualche motivo di dubitarne. Ernesto Galli Della Loggia ha oggi spiegato sul «Corriere della sera» (in un articolo per lui insolitamente duro ed esplicito) perché la scelta di Bray appare infelice. In sostanza, dice Galli Della Loggia, nessuno avrebbe mai pensato a Bray per il suo ruolo di direttore editoriale della Enciclopedia Treccani: se oggi Bray è ministro dei Beni culturali è solo perché è una sorta di super-segretario, factotum e uomo di fiducia di Massimo D’Alema e Giuliano Amato (l’attuale presidente della Treccani), per i quali dirige Italianieuropei, rivista della loro comune e omonima Fondazione. 
E, aggiungo io, la lottizzazione politica del patrimonio è un’orrenda piaga nazionale, culminata nel sacco della Biblioteca napoletana dei Girolamini perpetrato dal braccio destro di Marcello Dell’Utri.

L’articolo di Galli Della Loggia è dunque da sottoscrivere parola per parola, ma fa un po’ sorridere per il tono stupito. Cosa c’era, infatti, da aspettarsi da un governo che (con l’eccezione di Saccomanni e forse della Bonino) appare mediocre in modo perfino imbarazzante? E cosa c’era da aspettarsi, se non lottizzazione politica estrema, da un governo che nasconde sotto il velo dell’emergenza nazionale la più grossa operazione di spartizione e inciucio della storia repubblicana?

Il disastro politico culminato nel suicidio del Pd durante l’elezione presidenziale ha aperto la porta allo scenario da incubo in cui ci troviamo, e ci troveremo a lungo, immersi. L’incapacità politica di Grillo e il marcio del Pd hanno portato all’umiliazione dell’elettorato Pd (la cui volontà è stata tradita nel modo più clamoroso), alla rielezione di un presidente quasi novantenne con la benedizione del rottamatore-pugnalatore-di-Prodi, allo sdoganamento definitivo del Pdl. Uno scenario che rischia di culminare in un prossimo settennato di Silvio Berlusconi al Quirinale.

In tutto questo, francamente, la nomina di Massimo Bray ai Beni culturali mi pare tutto tranne che una sorpresa.

In che direzione andrà il nuovo ministro? È presto per dirlo, ma già la nomina dei sottosegretari aiuterà a capirlo. Alcuni segnali appaiono fin da ora negativi, altri timidamente incoraggianti. Pessima, è per esempio, la convivenza con un Flavio Zanonato allo Sviluppo (un sindaco di Padova che promuove la cementificazione della sua città incurante dei rischi che corre perfino la Cappella degli Scrovegni di Giotto) e con il grande apostolo del cemento Maurizio Lupi, ministro per le Infrastrutture. Come dire che Bray si troverà a dover difendere il paesaggio innanzitutto dai suoi stessi colleghi di governo.

Ma le insidie sono anche interne: invece che fonderlo con il Ministero dell’Ambiente (l’unica vera prospettiva), o lasciarlo da solo, il Mibac è ora di nuovo appaiato al Turismo, del quale Bray ha ricevuto la delega. Capisco che una delle maggiori credenziali del salentino Bray è il rilancio della Notte della Taranta, ma questo accostamento rischia di essere un grosso pericolo. La retorica del patrimonio storico-artistico come petrolio d’Italia (una retorica nata, non a caso, nella stagione craxiana di cui Amato, principale di Bray, è l’unico vero sopravvissuto) ha fatto infiniti danni: invece di sviluppare una vera e sana economia culturale ha condannato il patrimonio ad un assurda bipartizione tra ipersfruttamento commerciale di pochi monumenti-simbolo e degrado mortale di tutto il resto. E in più ha fatto dimenticare che il progetto della Costituzione sul patrimonio e sul paesaggio non è quello di renderli fonte di reddito e strumenti del dio mercato, ma invece leve per la costruzione dell’eguaglianza e della cittadinanza attraverso la conoscenza. Ma certo pretendere una politica costituzionale come questa da un governo il cui vicepremier è Angelino Alfano è davvero un po’ ingenuo.

D’altra parte, leggendo il blog di Bray sull’Huffington Post è possibile trovare invece affermazioni condivisibili. Per esempio questa: «Non c’è futuro, infatti, per un paese che non sa prendersi cura delle testimonianze del suo passato, porre freno alla devastazione del suo territorio, tutelare il patrimonio artistico di cui è custode e la cui salvaguardia deve diventare il segno di un profondo cambiamento nelle scelte di governo. Non vorrei ascoltare nessuna obiezione “politica” alla proposta che il prossimo governo si impegni, in uno dei primi provvedimenti, a indirizzare tutti gli sforzi e le risorse necessarie a restaurare Pompei e a fare di questo straordinario monumento, il simbolo della rinascita del Paese». Solo belle parole? Lo capiremo assai presto. Buon lavoro, ministro Bray.

Articolo Precedente

Concerto Primo Maggio: ciak, si gira il film collettivo del Concertone

next
Articolo Successivo

Il piccolo principe compie settant’anni. “Io ero fatto per essere giardiniere”

next