Avevo davvero voglia e bisogno di letture che contenessero una sana e genuina dignità culturale e sociale e ho trovato due libri che mi hanno riempito di domande, mi hanno fatto commuovere, mi hanno dato speranza. Si tratta de “Gli ultimi eretici dell’Impero” e “L’ultimo comunista”.

Vasile Ernu, scrittore e filosofo romeno della Bessarabia, nato in URSS nel 1971, ma trasferitosi in Romania nel 1991, con “Gli ultimi eretici dell’Impero”(Hacca, 2012) ha compiuto un’operazione originale, provocante e di alta letteratura. La storia narrata nel romanzo è semplice, si tratta di uno serrato scambio epistolare tra A.I., il Grande Istigatore, colui che in gioventù tentò di assassinare Stalin, e Vasilij Andreevič, figlio della Perestrojka, dissidente contemporaneo, impegnato a smascherare e sabotare i meccanismi totalitari del capitalismo. “Gli ultimi eretici dell’Impero” è uno scambio di storie, dalle disquisizioni sulla liberazione dell’uomo attraverso l’assunzione di sostanze alcoliche, al terrorismo internazionale; dalle sette religiose, al disinganno delle democrazie occidentali; dai gulag della Russia sovietica ai gulag glamour del mondo capitalista, un mondo dove le banche e i manager tengono le chiavi di un’immensa prigione in cui spesso non ci accorgiamo di vivere, anzi, di sopravvivere, imbruttendoci.

Il libro è pieno di ironiche e deliziose dissertazioni, così scopriamo che in fondo quello che appariva come il libro più credibile sui campi di rieducazione, “Arcipelago Gulag” di Aleksandr Solženicyn, in verità è una bufala adatta a un pubblico non russo, da preferirgli “Racconti della Kolyma” di Varlam Šalamov, colui che, avendo subito in prima persona gli abusi made in Siberia, smaschera il collega rivelando che nei gulag non c’erano cucchiai, come ampiamente descritto nel romanzo di Solženicyn, e che arriva ad affermare che non sono la politica, l’ideologia, l’eccesso ad aver generato il gulag, il totalitarismo, i dittatori, bensì la loro assenza.

Scopriamo che Nicolae Ceaușescu non è mai esistito. È stato un oleogramma del popolo romeno. È stato il popolo a produrlo, sia coloro che lo hanno acclamato, sia quelli che lo hanno subito, tacendo. Una proiezione collettiva, alla quale hanno contribuito tutti, anche i dissidenti, pochi, una proiezione che ha preso vita perché l’intera nazione l’ha voluta e poi, puf!, cancellata.

Vasile Ernu ci spiega, sagacemente, che le colpe della Storia sono di tutti, nessuno può lavarsene le mani, anche se pare che non ci siano volontari per prendersi le responsabilità di quanto avvenuto nei regimi comunisti (come del resto in questa deriva senza sbocchi del mondo globalizzato). Inoltre ci dice tra le righe, o forse l’ho intuito solo io, che Silvio Berlusconi è il più stalinista fra tutti i politici (?) italiani contemporanei: ‘Per il dissidente radicale il comunismo è l’incarnazione del Male sulla terra. Questo dissidente opera nella più pura logica staliniana, è il prodotto staliniano per eccellenza, poiché pensa secondo una banale logica dualista: compagno o nemico, bene o male. Spesso diviene partigiano di un’unica opinione: lotta contro un ‘male totale’, legittimando un ‘bene totale’.

La stessa straordinaria dignità del libro di Vasile Ernu l’ho ritrovata ne “L’ultimo comunista” di Matthias Frings (Voland). Siamo nel 1980 a Berlino Ovest. Il ventenne Ronald M. Schernikau, convinto comunista, omosessuale dichiarato, autore di un romanzo shock autobiografico, è la star del momento, di giorno letteratura e politica, di notte discoteche, cabaret e spettacoli ‘en travesti’. Figlio di una ragazza madre che mai si è adattata a quell’Ovest tanto agognato da tutti, ha un solo obiettivo: tornare a Berlino Est. Novembre 1989. Mentre migliaia di cittadini scavalcano il Muro per emigrare a Ovest, solo una persona va nella direzione opposta: il nuovo passaporto dello scrittore Ronald M. Schernikau sarà l’ultimo emesso dalle autorità della DDR, la Repubblica Democratica Tedesca. Storia di un uomo e di un artista che ha oltrepassato ogni limite, e a cui è impossibile non affezionarsi.

Schernikau è un personaggio talmente originale che se non fosse davvero esistito, si potrebbe pensare che Frings l’abbia inventato. Ma Schernikau è esistito, eccome. È stato un uomo pieno di determinazione, convinto di diventare uno scrittore, di scrivere una grande opera letteraria, radicale e innovativa nella forma e nel linguaggio, oltre che nei contenuti. Convinto che in Germania la vera letteratura, quella seria e dignitosa, si trovava dall’altra parte del Muro, nella DDR socialista, un mito che ha coltivato fino alla fine dei suoi giorni, la fetta di Germania che Schernikau sente come la sua vera patria spirituale, il paese in cui è possibile essere scrittore e comunista.

E nel 1986, finalmente, grazie all’autorizzazione a studiare all’istituto universitario per la formazione di scrittori e letterati di Lipsia (unico tedesco occidentale fra gli studenti) può viversi il suo mito, una DDR che diventa la realtà quotidiana, una realtà che il giovane autore difenderà fino alla fine dei suoi giorni.

Parallela alla storia di Ronald M. Schernikau c’è quella della madre, Hellen, che nel 1966 ha dovuto lasciare la Germania Orientale non perché desiderasse fuggire, ma perché vuole raggiungere l’uomo con cui ha avuto Ronald. E che una volta ritrovato scoprirà essere sposato e dalle disgustose simpatie neonaziste, un colpo terribile per questa donna coraggiosa, socialista fino al midollo, scappata solo per poter dare un padre all’unico figlio e che vivrà l’Ovest come un castigo.

“L’ultimo comunista” è un atto d’amore verso Berlino, o almeno, verso la Berlino che fu, ma soprattutto è un meraviglioso e commovente libro sul coraggio delle scelte individuali, sulla forza degli uomini di raggiungere un proprio obiettivo a dispetto di tutto e tutti. Una grande opera di dignità, che potrebbe insegnare ai più disillusi e disinteressati la forza che può avere un ideale politico. È un testo che fa bene, si esce dalla lettura liberati. Personalmente, dato che mi sono ampiamente occupato della DDR in “Ost. Il banchetto degli scarafaggi”, è stato come ritrovare vecchi amici che il tempo aveva lasciato ai piedi di quel Muro che oggi, ormai, è solo un triste feticcio per turisti deresponsabilizzati.

Questi libri così ‘Patto di Varsavia Style’ mi hanno fatto venire in mente altri due testi, uno è il divertente e graffiante “L’amore di Marx”, di Darien Levani (Lite Editions) dove, all’alba della ‘democrazia’, a Tirana, i nuovi capitalisti cercano di convincere il direttore della tipografia cittadina a stampare, al posto del vecchio quotidiano del popolo, riviste pornografiche sul modello di quelle vendute in Occidente. Ne nasce un dibattito su marxismo ed erotismo e sulla strada da seguire per rimanere a passo coi tempi. L’altro è “Dal comunismo al consumismo. Fotosafari poetico esistenziale romeno-italiano” di Mihai Mircea Butcovan con le fotografie di Marco Belli (Linea BN Edizioni), una raccolta caratterizzata da due esperienze esistenziali complementari che insieme riflettono sul passaggio dal comunismo al consumismo, vent’anni dopo la caduta del Muro di Berlino. Un testo incisivo che vuole cogliere contraddizioni e responsabilità di una società alla ricerca di nuove forme di cittadinanza. E proprio con le parole di Butcovan concludo: ‘E mi concedo un pensiero losco’.

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