La realtà cardiologica in Lombardia si è affollata di numerose Unità Operative a tal punto da far sorgere il sospetto che la qualità delle cure cardiologiche sia sproporzionata rispetto alla moltiplicazione delle strutture di ricovero. Lo chiedo al cardiologo dott. Marco Cavo, responsabile del servizio di cardiologia della Casa di Cura San Camillo di Milano: “Solo trent’anni fa in Lombardia c’erano liste d’attesa lunghissime per accedere a cure cardiologiche ma allora la Lombardia, ed in particolare Milano, era la meta di tantissimi pazienti provenienti da tutte le altre regioni attratti dall’organizzazione e dalla qualità delle cure. Da una ventina d’anni la situazione è radicalmente mutata sia perché sono sorte strutture cardiologiche su tutto il territorio nazionale, sia perché vi è stato un enorme sviluppo mondiale della cardiologia interventistica (cura dell’ infarto miocardico e delle malattie coronariche con angioplastica ed impianto di stent, correzione o sostituzione valvolare percutanea, riparazione percutanea di difetti congeniti ecc.) che ha ampliato le possibilità di curare il cuore senza intervento chirurgico.
Tale sviluppo di metodiche e tecnologia ha fatto sì che in pochi anni l’approccio cardiologico interventistico non chirurgico diventasse praticabile con uno sforzo organizzativo e di costi nettamente inferiore rispetto alla cardiochirurgia, con il vantaggio di una minore invasività. Questa tendenza, per effetto di una gestione regionale della sanità poco avveduta, ha portato rapidamente all’apertura di strutture pubbliche o private accreditate in misura esuberante: sono attualmente censiti dalla Società Italiana di Cardiologa Invasiva 54 centri di cardiologia interventistica contro i 35 centri disponibili nella regione francese di Parigi che conta 11,5 milioni di abitanti, contro i 10 della Lombardia. Tutta questa “offerta” di cure rischia di essere inversamente proporzionale alla qualità perché vi sono centri che effettuano troppo poche procedure rispetto agli standard di qualità e centri che effettuano procedure complesse senza essere dotati di organizzazione ed attrezzature in linea con gli standard internazionali. Alcune procedure complesse per esempio richiedono che ogni caso clinico venga preso in esame da un’equipe, formata dal cardiologo, dall’anestesista e dal cardiochirurgo, alla quale spetta il compito di elaborare una decisione collegiale sull’appropriatezza e fattibilità della procedura stessa, evitando in tal modo insuccessi maggiori nei centri dove si praticano poche procedure, magari inappropriate o eseguite senza idonea equipe multidisciplinare e senza controllo qualitativo, con costi esorbitanti per la collettività ed alto rischio di danno al paziente”.
Quanti pazienti, secondo la tua esperienza, visitati nelle strutture ambulatoriali, vengono avviati alle procedure interventistiche nella nostra regione? “Il ricorso a procedure invasive dipende anzitutto dal contesto della struttura ambulatoriale, dotata o meno di unità coronarica e di emodinamica interventistica, e dalla facilità di accesso a strutture interventistiche esterne. Molto dipende dall’orientamento, dalle inclinazioni e dalla specifica formazione del cardiologo che viene chiamato a decidere in situazioni spesso complesse, dove è importante sia la capacità di prendere decisioni appropriate, sia l’indipendenza da condizionamenti vari all’interno della struttura sanitaria, sia la serenità di giudizio di fronte al paziente, minacciata da una diffusa paura di contenziosi medico-legali. Negli ultimi anni vi è stata una vera e propria escalation nell’avviare i pazienti a cure cardiologiche interventistiche e nella prescrizione, non sempre sufficientemente meditata e nell’interesse del paziente, di procedure diagnostiche a rischio eccessivo rispetto alla possibilità di arrivare ad un reale beneficio in termini di prognosi e qualità della vita. Di fatto si potranno evitare eccessi ed inappropriatezze solo a patto che sia il paziente ad essere posto al centro di ogni progetto di sanità pubblica o privata”.
Quindi, in cardiologia come in tutte le branche della medicina, tutto ciò che si fa deve essere sottoposto agli opportuni controlli sia per evitare danni al paziente, sia per non disperdere risorse e migliorare in ogni caso clinico il rapporto costo-beneficio.