La normativa sulla discriminazione punisce qualsiasi condotta del datore di lavoro che ponga un determinato lavoratore in una condizione sfavorevole per il solo fatto di avere manifestato un’opinione o esercitato un diritto. Questa normativa impone al giudice del lavoro di prendere provvedimenti per eliminare gli effetti del comportamento del datore di lavoro.
Nel caso del magazzino di Piacenza, dove Ikea ha affidato in appalto i servizi logistici al consorzio di cooperative CSG, ci sono ben due atteggiamenti discriminatori nei confronto dei lavoratori. Uno è già in atto: le cooperative (ma la responsabilità “in solido” è anche di Ikea che è responsabile in quanto ditta appaltatrice) hanno ridotto l’orario di lavoro da 8 a 4 ore giornaliere solo ai lavoratori iscritti al sindacato Cobas.
Se Ikea risolvesse il contratto di appalto non avrebbe altra motivazione se non quella di un disservizio causato dal legittimo esercizio del diritto di sciopero, a sua volta causato da una illecita violazione dei diritti retributivi dei lavoratori addetti all’appalto. Questa motivazione sarebbe discriminatoria, dato che serve a punire la libera manifestazione dell’opinione dei lavoratori. Per questo se a causa delle scelte di Ikea le cooperative licenziassero lavoratori scioperanti, o altri del magazzino interessato dagli scioperi, si tratterebbe di licenziamenti discriminatori dato che sarebbero causati da una risoluzione dell’appalto dovuta a motivazioni discriminatorie.
E allora i comportamenti di Ikea (illegittima risoluzione del contratto di appalto) e del consorzio (illegittimi licenziamenti) potrebbero essere impugnati e sanzionati sulla base della normativa anti-discriminazione. Il risultato sarebbe un provvedimento di eliminazione della condotta discriminatoria e il risarcimento dei danno a favore dei lavoratori. L’Ikea dovrebbe pagare le retribuzioni perse e dovute fino alla scadenza prevista del contratto di appalto. Inoltre, i lavoratori licenziati dovrebbero essere reintegrati in servizio.