«Franco Fiorito era uno di quelli che tiravano le monetine all’hotel Raphael…».

Mi ritrovo in una cena milanese tra reduci dal Psi craxiano, dove la mancata elaborazione del lutto ventennale crea tuttora un climax cupo, denso da tagliare con il coltello. Ma ecco che a un tratto il risentimento ringhioso si trasforma in esplosione di una furia compressa da troppo tempo, nel palleggiarsi tra commensali della notizia odierna. L’incredibile coazione a ripetere in cui è incappato il Trimalcione ciociaro: quel fascistoide con pretese moralizzatrici che nell’aprile 1993 – al grido di “ladro, ladro” – assediava il lider maximo Bettino barricato nel suo residence romano; al tempo capofila esecrabile nella scandalosa appropriazione sistemica del denaro pubblico, oggi antesignano e modello di quegli stessi contestatori.

Provo ad analizzare con i miei commensali il filo di continuità tra re Bettino e il cacicco di provincia Fiorito, con risultati tendenti allo zero: lo spirito partigiano di allora – mentre già iniziava a prendere corpo in appartenenze che assicuravano, al tempo stesso, identità politica e promozione sociale individuale – è andato rinforzandosi e radicando in questo trentennio; durante il quale collocarsi in un campo politico assume sempre di più la sostanza di pratica settaria tendente al fondamentalistico. Eppure le ragioni sottostanti a tale continuità sembrano evidenti.

Ragioni che nulla hanno a che vedere con le ideologie politiche e – semmai – dipendono da ragioni antropologico/culturali. Infatti, cosa accomuna i socialisti di rito craxiano della Prima Repubblica e i postfascisti della Seconda, non meno dei postcomunisti, dei leghisti e di tutti gli altri “isti” che si aggirano nei corridoi e affollano le buvettes degli odierni Palazzi istituzionali?

Presto detto: un percorso esistenziale in ascesa irresistibile. Dalle pezze nel sedere e dal “tirare il pasto con la cena” alle sbornie di benefit derivanti dall’essersi piazzati nei circuiti esclusivi e incontrollati del benessere raggiunto attraverso il cosiddetto “fare politica”. Quel lusso esibizionistico che al parvenu dà rapidamente alla testa, inducendo un senso di onnipotenza misto alla presunzione di intoccabilità; come i reiterati casi dell’ultimo mezzo secolo di storia patria stanno lì a testimoniare.

Per questo fanno ridere gli almanaccamenti vari di possibili soluzioni indolori: le ricette di ingegneria istituzionale (cambiamo sistema elettorale), gli strutturalismi della forma-partito (fondiamone uno nuovo, un altro) o le cazzabubbole sui ricambi generazionali (i Renzi sono venditori ambulanti precocemente invecchiati che riempiono il proprio banchetto della paccottiglia arrugginita trovata in una soffitta: in sostanza il paternalismo a presa per i fondelli dietro il quale fa capolino l’intento affaristico).

Se proprio si volesse ovviare all’irruzione nelle istituzioni delle mandrie di profittatori irresponsabili, altri sono gi ambiti su cui intervenire: i processi di selezione del personale dirigente e la promozione di una cultura politica degna di tale nome. Ma fintanto che il giudizio generalizzato, nei confronti del carrierismo all’insegna dell’avido trucido più inguardabile, si limiterà allo sconsolato “così fan tutti” la rimozione delle metastasi infette resterà lontanissima.

Perché è la società che deve esprimere – sotto forma di modelli comportamentali alternativi – gli anticorpi in grado di bloccare l’andata al potere della volgarità saccheggiatrice.
Solo un piccolo esempio: il film di cui si parla attualmente è quello francese candidato all’Oscar e intitolato “Quasi amici” (l’incontro tra un agiato aristocratico costretto sulla sedia a rotelle e un ragazzo della banlieu più povera, riserva di potenziali casseurs). L’immediata morale (buonistica a pronta presa) è che se mondi diversi interloquiscono, possono socializzare e arricchirsi reciprocamente. Ma c’è un secondo messaggio ancora più forte (e hard), a fronte dell’elevazione sociale del ragazzo di periferia attraverso la scoperta delle arti figurative e della musica barocca: il ruolo decisivo di una cultura raffinata e del gusto nel tenere a bada pulsioni (auto) distruttive e rimuovere comportamenti asociali; promuovendo qualità ed escludendo chi non ne apprende le logiche.

Non a caso Parigi, pur non essendo più la Francia una superpotenza, mantiene ancora centralità nel quadro europeo; Roma, nell’Italia delle plebi fattesi cavallette e della corruzione diffusa, permane sostanzialmente in una situazione da messa in quarantena; capitale di un Paese Piigs (chiaro riferimento alle maschere suine dei buzzurri che organizzavano baccanali con i soldi pubblici di Regione Lazio).

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