Non che ci fosse bisogno del Batman de noantri, dei suoi sedici conti correnti, delle ostriche e del Suv, dei villaggi vacanze e delle finte consulenze, per scrivere un epitaffio poco glorioso su quel che resta della destra italiana

Ci avevano già pensato i colonnelli della vecchia Alleanza Nazionale a imbalsamare una tradizione politica che nel bene e nel male aveva fatto la storia del novecento italiano, trasformandola nella caricatura di se stessa, un’immobile macchietta alla Sturmtruppen. Il capogruppo Maurizio Gasparri che insulta in aula Beppino Englaro; il ministro Ignazio La Russa che prende a calci i cronisti; il governatore e poi ministro Francesco Storace che sogghigna davanti ai neonazisti greci di Alba Dorata e alle loro “bravate”; il sottosegretario Daniela Santanchè che dal privé del Billionaire si fa paladina del popolo contro le banche, contro l’Europa, contro la casta; il sindaco Alemanno sommerso dalla neve; la gabbiana Giorgia Meloni che apparecchia ogni anno, con i suoi “giovani ribelli” seguaci di Atreju, una festante accoglienza per il miliardario Berlusconi e per le sue barzellette anni cinquanta (quest’anno le è andata male, però). 

Insomma il caso della casta ciociara è solo l’ultimo esempio di una deriva ormai irrecuperabile. È la fine di una parabola che da Evola e da Tolkien è arrivata a Briatore e al consigliere Fiorito. Una destra che non vuole più cambiare il mondo, ma che si accontenta di cambiare la Smart perché “me dovete capì: manco c’entravo”. 

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