L’appuntamento è Castel Volturno, vicino al monumento in memoria di Miriam Makeba a pochi metri da dove è stato ammazzato l’imprenditore Domenico Noviello. Lì c’è la Casa di Alice. Un bene confiscato alla camorrista Assunta Maresca detta “Pupetta” e destinato al Comune il 15 maggio del 1997 per realizzarvi una sartoria, costola dell’associazione Jerry Masslo. Ad aspettare c’è Anna Cerere, un ex sarta, che dirige il laboratorio con l’aiuto dell’amica Maria Cirillo e di due sarte africane, Kawi Patt e Atta Bose. Grazie alla sartoria queste donne con alle spalle storie difficili, oggi, hanno una vita normale.

Storie di donne che resistono, trovando riscatto nel lavoro. «Siamo stati fortunate – spiega Anna Cecere – perché il nostro progetto è piaciuto a una fondazione bancaria che ha finanziato parte dei lavori della sartoria, mentre l’altra parte è autofinanziata dai soci della cooperativa». Qualche settimana fa, in occasione del Festival dell’impegno civile (promosso dall’associazione Libera), si è svolta la prima sfilata del neonato marchio Made in Castel Volturno. «Vogliamo mostrare che l’Africa è una risorsa per superare la diffidenza e il razzismo nei confronti dei migranti». Un progetto sociale che, partendo dalla differenze, cerca di integrare i migranti con i residenti di Castel Volturno. Il marchio mescola ad arte i colori e i tagli tipicamente africani con lo stile italiano. Un progetto e un modello di sviluppo che creando un’economia legale, contrasta e toglie terreno a quella criminale, come nel caso del ristorante, pizzeria Nco (Nuova cucina organizzata) di Peppe Pagano a San Cipriano d’Aversa.
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