Antonio Martusciello, Maurizio Decina, Antonio Preto e Antonio Posteraro, Commissari all’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni mentre Antonello Soro, Giovanna Bianchi Clerici, Augusta Iannini e Licia Califano al Garante per la protezione dei dati personali e la riservatezza.

Tutto come da copione. Tutto esattamente come già deciso ieri, ventiquattrore, prima del voto alla Camera dei Deputati ed al Senato.

Alla fine è successo ciò che ci si augurava non sarebbe più accaduto: PDL, PD, Lega Nord e UDC si sono spartiti le poltrone dell’Autorità per le Garanzie nelle comunicazioni e dell’Autorità Garante per la privacy, alla vecchia maniera ovvero imponendo ciascuno i propri candidati in barba alla trasparenza, alla meritocrazia ed all’autonomia dei membri appena nominati.

Tutto è avvenuto nelle Segreterie di partito e secondo l’antica regola delle quote anziché in Parlamento e nell’ambito di un procedimento che consenta di misurare e comparare competenze, esperienze ed autonomia dei candidati così come imporrebbe la legge.

I Partiti hanno, ancora una volta, espropriato le istituzioni parlamentari del loro ruolo e Deputati e Senatori della Repubblica – con poche importanti eccezioni – si sono lasciati trasformare, per l’occasione, in burattini di legno andando alla Camera ed al Senato a “ratificare” delle nomine da altri – in loro vece – deliberate.

La raccolta dei curricula chiesta a gran voce dalla società civile ed accordata – sebbene quasi fosse una graziosa concessione di Sua Maestà anziché un’ovvietà – dai Presidenti di Camera e Senato si è rivelata una grottesca farsa istituzionale, giacché i nomi degli eletti sono stati selezionati prima ancora che la raccolta dei curricula fosse ultimata e questi ultimi trasmessi a Deputati e Senatori.

Come se non bastasse, peraltro, la selezione dei nominandi nelle Segreterie di Partito è avvenuta sulla base di liste diverse rispetto a quelle formate dagli uffici di Presidenza della Camera e del Senato tanto che alcuni degli eletti non compaiono in nessuna di queste liste.

Una nuova puntata di nominopoli si è appena conclusa secondo un copione già andato in scena decine di volte. Questa volta, però, c’è qualcosa di diverso.

Tutto è avvenuto sotto i riflettori dell’opinione pubblica e dei media, decine di associazioni di cittadini ed imprenditori si sono ritagliate, negli ultimi mesi, un ruolo ed una posizione nella richiesta di trasparenza e nei procedimenti amministrativi – sebbene ancora in stato embrionale complice un quadro normativo scritto ad arte per consentire ai Partiti di governare certe scelte come se si trattasse di nominare i membri del CdA di società delle quali si sentono, evidentemente, azionisti esclusivi – finalizzati alle nomine, numerose personalità di alto profilo si sono candidate pubblicamente e formalmente alle cariche di membri delle Autorità e molti deputati e senatori hanno scelto di non prendere parte alla farsa delle votazioni e di denunciare lo scandalo di Nominopoli.

Impossibile, questa volta, per la casta sottrarsi al giudizio dei giudici, facendosi scudo dell’assoluta discrezionalità della scelta politica.

La legge prevede che la nomina dei membri delle Autorità indipendenti sia una scelta dei singoli deputati e senatori da compiersi sulla base di precisi criteri selettivi – competenza, esperienza ed autonomia – e, evidentemente, attraverso un procedimento che sia idoneo a consentire una valutazione circa la sussistenza di tali requisiti in capo ad ogni eletto in misura, peraltro, maggiore rispetto ad ogni candidato non eletto.

Una scelta, dunque, della politica ma non di natura politica. E’ una scelta – come è stato di recente riconosciuto – sindacabile da parte dei Giudici amministrativi.

Ed è proprio a questi ultimi che, nei prossimi giorni, le associazioni della società civile ed alcuni dei candidati non eletti hanno deciso di rivolgersi per chiedere che i Giudici sospendano l’efficacia delle nomine, accertino l’illegittimità del farsesco procedimento di nomina appena andato in scena ed impongano alla Camera dei Deputati, al Senato della Repubblica ed alla Presidenza del Consiglio dei Ministri di ricominciare da capo, avendo, questa volta, cura di rispettare le regole e di selezionare i membri delle Autorità – chiunque essi meritino di essere – attraverso un giusto procedimento che consenta il miglior accertamento possibile dei requisiti di competenza, esperienza ed autonomia in capo a ciascun eletto.

Non sarà un processo alla politica e non si tratterà – come non è stato nel corso dell’intera campagna sulla trasparenza delle nomine – di un’iniziativa anti-politica ma, al contrario, di una necessaria ed indispensabile azione di supporto alla buona politica.

Sarebbe, per questo, auspicabile che la Presidenza della Camera dei Deputati, quella del Senato e quella del Consiglio dei Ministri cui i ricorsi verranno notificati, rinunciassero a difendere la bontà di una scelta che non è loro appartenuta e decidessero in autonomia ed autotutela del nome e prestigio delle istituzioni repubblicane che rappresentano di non costituirsi nei giudizi ed annullare le procedure di nomina per ripeterle secondo regole e procedimenti diversi e più rispettosi delle leggi e degli interessi del Paese.

Hanno scelto i partiti e non i Parlamentari e sono loro che hanno sbagliato preferendo, ancora una volta, la strada della grande abbuffata – probabilmente una delle ultime di una razza condannata all’estinzione – a quella del rispetto delle regole e della trasparenza.

Frattanto, già nelle prossime ore, partirà un appello al Capo dello Stato, Giorgio Napolitano perché non firmi i decreti di nomina dei nuovi membri delle Autorità, rifiutandosi di mettere il sigillo della Presidenza della Repubblica su un atto di spartizione partitica delle poltrone che costituisce un oltraggio alle regole costituzionali ed alla democrazia.

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