L’ultima puntata di Servizio pubblico ha riunito – per usare un linguaggio risorgimentale – quelli che fecero la televisione attraverso la Rai. Michele Santoro ha ospitato Carlo Freccero, Lucia Annunziata, Corradino Mineo e il consigliere d’amministrazione Nino Rizzo Nervo, l’unico che, dopo aver annunciato le dimissioni, le ha pure consegnate (a differenza del presidente Paolo Garimberti).

La prima domanda è semplice: la Rai fa ancora televisione? No, se Freccero è rinchiuso nel piccolo laboratorio di Rai 4 con risorse limitate e ostruzionismo continuo. No, se l’Annunziata è confinata a Rai 3 per un’intervista a settimana. No, se per parlare liberamente di servizio pubblico Santoro deve creare una multi-piattaforma e un programma che si chiama proprio Servizio pubblico. No, se per sperimentare viale Mazzini appalta mezzo palinsesto all’esterno e cerca di copiare (con scarsi successi) la vocazione commerciale di Mediaset.

Non è la prima volta che scriviamo come viale Mazzini sia davanti a un momento decisivo che coincide con la scadenza del Consiglio di amministrazione, feticcio di una maggioranza parlamentare che non esiste più e brutto figlio, ma legittimo, di un obbrobrio che si chiama legge Gasparri. Il governo di Mario Monti ha promesso una riforma strutturale di viale Mazzini: più potere al direttore generale e meno sprechi; più programmi da servizio pubblico e meno componenti in Cda. Tutti buoni propositi che escono ridimensionati dal recente incontro fra il presidente del Consiglio e Silvio Berlusconi.

L’Italia dei Valori ha annunciato una manifestazione per il 28 marzo, giorno in cui ufficialmente finirà il mandato del Cda e del direttore generale Lorenza Lei. Il Partito Democratico, attraverso un determinato Pier Luigi Bersani, ha giurato che non parteciperà ai prossimo voti in Vigilanza Rai, la commissione bicamerale che nomina 7 dei 9 consiglieri d’amministrazione. Anche il prudente Terzo Polo si è schierato con il Pd e l’Idv, mentre il Pdl e la Lega non vedono l’ora di papparsi soli soletti l’ultimo potere di viale Mazzini.

Abbiamo letto che l’Ocse, il centro studi di Parigi, suggerisce all’Italia di vendere un pezzo della televisione di Stato. E abbiamo letto, ancora più spesso, le preoccupazioni del professor Monti sui conti di viale Mazzini che si ritrova un debito consolidato di oltre 300 milioni di euro e un’esposizione verso le banche ancora più elevata. E tutti i commentari, esperti di televisione a vario titolo, implorano l’azienda di tagliare i costi e di garantire il lavoro ai 13 mila dipendenti, senza considerare migliaia di precari e collaboratori.

Direte perché questa lunga panoramica di posizioni politiche e intenzioni governative? Che c’entra con la puntata di Servizio pubblico? C’entra perché, a parte i volti che abbiamo visto e le parole che abbiamo ascoltato da Santoro, nessuno si ricorda che la Rai è ancora una televisione che deve produrre, anzi inventare programmi. Guardatevi intorno, guardate la televisione, troverete le solite trasmissioni, quelle che resistono in cattive condizioni da vent’anni, e troverete tante, troppe somiglianze con Mediaset. A questo punto, perché vendere la Rai? É già stata svenduta.

Il Fatto Quotidiano, 26 Febbraio 2012

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