Lavori di sbancamento a Porto Miggiano

Ruspe e cemento. Resort e piscine. Su una scogliera definita “a rischio crollo”. E poi soldi. Milioni di euro che si trasformano in mattoni, ristoranti, lounge bar. Sulla carta tutto in regola, grazie a un piano regolatore di venti anni fa. Ma un impatto paesaggistico notevole, una ferita in uno dei luoghi più belli della Puglia da cartolina: Santa Cesarea Terme, in provincia di Lecce. Alla baia di Porto Miggiano, infatti, sono arrivate le ruspe per “consolidare” il costone roccioso continuamente rosicchiato dalle mareggiate. Opera progettata dal Comune e finanziata con 3 milioni di euro di fondi europei. I martelli pneumatici hanno tagliato la roccia per effettuare la messa in sicurezza in tempi brevi dei massi pericolanti. Alla fine, è venuta meno un’intera porzione di costa. Per gli ambientalisti, un intervento troppo massiccio su una “falesia”(costa rocciosa con pareti a picco, alte e continue, ndr) così delicata. Per i direttori dei lavori e per il sindaco, invece, è tutto regolare: ci sono decine di pareri favorevoli e tre anni di iter procedurale. Ma i carabinieri del Nucleo operativo ecologico (Noe) vogliono vederci chiaro e hanno acquisito tutta la documentazione.

È stato il “Comitato di tutela Porto Miggiano” ad attirare l’attenzione su quanto sta accadendo. Il gruppo, nato su facebook, ha raccolto quasi diecimila iscritti, e generato un interesse che ha portato a tre interrogazioni parlamentari ai ministri dell’Ambiente e della Cultura. Due hanno la firma dei deputati radicali capeggiati da Elisabetta Zamparutti. L’altra è del democratico Ermete Realacci, presidente onorario di Legambiente.

“Non solo si è indebolito così il corpo roccioso, ma non c’è per niente proporzione tra i soldi pubblici spesi e la finalità dell’intervento, se è solo quella di tornare a consentire la balneazione nella baia”, dice Paolo Sansò, docente di Geomorfologia all’Università del Salento. “Strutture di ingegneria geologica così imponenti, a nostro avviso, sono il preludio a ben altro”, afferma Maurizio Manna, direttore regionale di Legambiente. “Sull’area esiste un progetto di approdo portuale depositato da tempo a Bari. Non rimarremo a guardare. A Santa Cesarea ci sono interessi imprenditoriali di primo livello, che continuano su un disegno preordinato da decenni, ma che pensiamo non sia più attuale né attuabile con i piani urbanistici di questa regione”.

Del resto se quell’area era tanto a rischio da essere classificata come “a pericolosità geomorfologica molto elevata” e talmente dissestata da spendere tre milioni di euro per metterla in sicurezza, perché sono stati rilasciati permessi per costruire proprio lì?

Su quella stessa falesia in arretramento sono state costruite, in due anni, due strutture turistiche. Una, inaugurata nel 2010 dall’allora ministro per i Rapporti con le Regioni Raffaele Fitto, è l’Augustus Resort, nato da un rudere che per quasi un decennio è stato posto sotto sequestro, individuato come uno degli ecomostri d’Italia dal rapporto “Mare Monstrum” di Legambiente. La procura di Lecce aveva ipotizzato una lottizzazione abusiva, ordinandone la demolizione. Nel 2008, però, i giudici d’appello hanno ribaltato la sentenza di primo grado “perché il fatto non sussiste”. La struttura è di Albino Merico, che nella minuscola Santa Cesarea detiene già due grandi sale ricevimento ed è zio di colui che, nel frattempo, è diventato il primo cittadino, Daniele Cretì.

La seconda costruzione è il Diciannove: tre grandi piscine di acqua salata, ponti, vialetti. Taglio del nastro ad agosto 2011. Il proprietario, Piero Montinari, non è un costruttore qualunque. Leader degli industriali leccesi, oggi è presidente regionale di Confindustria Puglia. Montinari ha acquistato all’asta il comparto attiguo, messo in vendita dal Comune. Si tratta di un’altra grande area a ridosso della scogliera, al di sotto della storica torre saracena, dove pure si potrebbero costruire stabilimenti e sale ricevimento, nel nome di un piano regolatore adottato nel lontano 1994. Quelle lottizzazioni hanno tenuto a distanza, però, nel 2006, anche i confini del Parco regionale Otranto – Santa Maria di Leuca, che bypassa letteralmente solo Porto Miggiano. E così non si riesce a impedire la nascita di mille appartamenti che faranno piazza pulita di trenta ettari di macchia mediterranea. Eppure la Sovrintendenza aveva bocciato parte del progetto. Quel parere negativo, tuttavia, è stato dato dopo i termini prescritti dalla legge. Il diniego è stato quindi impugnato di fronte al Tar e la Sovrintendenza avrebbe dovuto riformularlo in sessanta giorni di tempo. Ma si è dimenticata di farlo.

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