Quale storia racconta meglio l’Italia della crisi? Quella della mutandina catodica o quella della povertà reale? Premessa. Questo articolo segue una animata riunione di redazione de Il Fatto, in cui ci siamo divisi sullo Stato della Nazione nello spazio breve che di questi tempi unisce in un battito d’ali l’Italia che non arriva a fine mese e l’epifania sublime della farfalla di Belén.

Avvertenza necessaria. Il quesito posto dal direttore era: di cosa si parla in un paese in crisi? Postilla indispensabile: in redazione era difficile trovare due persone che fossero d’accordo tra di loro, quindi sollevo tutti gli altri da condivisioni impossibili e provo a dare una risposta mia: nei bar si parla della crisi, senza dubbio. Ma anche della farfalla di Belén. Anzi, meglio: si parla molto di quella sublime e anticonformista visione non malgrado la crisi, ma proprio perché c’è, la crisi.

Stacco. Ieri sera ero a Pomigliano d’Arco. Tanto per non far cadere l’incredibile vicenda dei seicento operai che sono stati (per ora) tutti discriminati perché hanno in tasca una tessera di un sindacato che il padrone di quell’azienda considera “nemico”. L’ha raccontata bene Sandra Amurri, su queste pagine, questa declinazione di moderna inciviltà. Su tutte svetta la storia-simbolo di Carmen Abbazzia: madre, cassintegrata, con una figlia piccola che non può comprarsi i libri per la scuola, 900 euro di cassa integrazione, 550 euro di affitto e due figli adolescenti che lasciano gli studi per aiutare la famiglia portando a casa le loro oneste e povere paghette. La storia di Carmen ha fatto il giro dei talk show, è stata scoperta anche in quella sede da alcuni politici, ma non è entrata nell’agenda della politica.

Nello studio di Corrado Formigli, Carmen ripeteva nella sua bella lingua del sud: “Song ‘ruo Pd, ma ci avete abbandonatoooo! “ (ovvero: sono del Pd, ma il mio partito ci ha abbandonati). L’onorevole Francesco Boccia, presente in studio proprio davanti a lei, le chiedeva: “Signora, se lei mi dà i suoi estremi, io faccio una interpellanza”… Carmen che era rimasta ai partiti in cui ci si dà del tu e ci si chiama compagni non capiva che le attenzioni di Boccia erano rivolte proprio a lei: “Ma lei chi? Quale signora? Che estremi?”. Era un incontro fra due mondi che parevano divisi da un acquario. La discussione impossibile fra la cortesia incompresa e la confidenza impossibile, rendevano plateale, anche nello studio di Piazzapulita, che persino quando è animata dalle migliori intenzioni, la sinistra di governo fatica a parlare la lingua del suo stesso popolo. A onor del vero va detto che Boccia – poi – l’interpellanza l’ha (come promesso) presentata. Ma lo scandalo che la storia di Carmen (e quella dei suoi compagni) incarnano non entra nelle priorità della politica italiana, non può essere tradotto nell’impegno di un leader riformista o liberale, o nella battaglia politica di una coalizione di centrosinistra che si interessi ai diritti.

Altro luogo, altra storia che mette i brividi. Siamo nel profondo Nord, in una delle terre più ricche d’Italia, in una delle librerie più prestigiose del Veneto, la Lovat di Villorba (alta tre piani!) non certo in una mensa della Caritas. Sto presentando il mio libro sulla crisi quando si alza un signore e con gli occhi che si stringono per non cedere alle lacrime. Mi dice: “Ho perso il lavoro e sono vittima di un moderno razzismo: ho 52 anni e nessuno mi guarda più in faccia! Nessuno legge nemmeno il mio curriculum! Mio figlio, e non mi vergogno a dirlo, mi mantiene lavorando la sera in pizzeria”. Il signore si chiama Umberto Andreatta, e vorrei che dopo questo articolo qualcuno mi scrivesse in redazione per dirmi che ha una lavoretto da offrire buono per lui o per Carmen. Invece Umberto racconta: “Sto consegnando il mio curriculum a personale di gabbiotti d’entrata, centralini, magazzinieri sperando che il mio pezzo di carta arrivi a qualcuno che lo legga. Ma – conclude rabbioso e rassegnato – sono come un appestato, sono considerato come un vecchio da abbattere”. Incominci a trovarla al nord e al sud questa Italia di nuovi disoccupati che prima finanziavano la precarietà dei loro figli e adesso sono costretti a camparci.

Oppure i pensionati al minimo sociale che finiscono preda della “ludopatia”, la febbre da gioco. In una sconvolgente inchiesta de Gli intoccabili, le telecamere inseguivano una comitiva di anziani dell’Emilia Romagna su di un torpedone pagato dal Casinò che era la meta finale del viaggio. Un buon investimento: dopo dieci ore di viaggio tra andata e ritorno alla ricerca di un miraggio di fortuna, le pensionate tornavano a casa avendo bruciato alle slot machine tutto quello che serviva per sopravvivere un mese. Sul fondo del torpedone una di loro mormorava depressa: “Ritornerò”. A Prato, l’ex capitale mondiale del tessile, un amico mi racconta che sobbalza quando vede le macchinette in un bar. Il padre, pensionato, si stava giocando la casa dopo tre rate del mutuo polverizzate in gettoni. La ludopatia, la febbre compulsiva del gioco è una malattia dei nuovi poveri.

Eppure contro Sanremo questa inchiesta dell’eroica banda Nuzzi ha fatto il 2 %. L’inchiesta sociale di Formigli il 4 %. I cinema dimezzano gli incassi, e i film che vanno meglio sono commedie comiche o demenziali. La gente che sta soffrendo non ama veder parlare delle proprie disgrazie. Ma non per questo le dimentica. Sbaglia la ministra Fornero a esercitare il suo sdegno benestante e il suo puritanesimo alto borghese. Belén Rodriguez non è una donna-oggetto, ma una giovane bella, intelligente, disinibita che al contrario di lei ha il sorriso disincantato di chi ha già visto una crisi (in Argentina). La farfalla di Belén non offende nessuno, come non lo farebbe la calzamaglia di Bolle, non è il capitolo di una guerra di sessi.

A Pomigliano nella trincea dell’oratorio e della casa famiglia, 40 ragazzi giocano a pallone. Uno degli avamposti di socialità pulita: “Qui i soldi della regione non arrivano più – racconta Carmen D’Auria – andiamo avanti a fantasia e passione”. A me indigna questo. La ministra risparmi le lacrime per dire qualcosa ai poteri forti della sua città. Belén riscalda i cuori.

Il Fatto Quotidiano, 18 febbraio 2012

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