Nel 2050 finiranno le risorse naturali del pianeta, meglio fermare la deforestazione altrimenti la terra scoppierà.  Parola del settantacinquenne regista argentino Fernando Solanas. Colui che nel 1968 s’impose all’attenzione mondiale con L’ora dei forni, film spudoratamente anticolonialista dedicato a Che Guevara, e che da una decina d’anni sta lavorando alla produzione di una serie di documentari sui tragici cambiamenti sociali e ambientali subiti dall’Argentina.

Presentando La Tierra Sublevada – Oro Negro al cinema Lumiere di Bologna, Solanas ha ricordato proprio come l’ “oro nero”, quel petrolio che rendeva, e avrebbe potuto continuare a rendere, prima della sua totale privatizzazione alle multinazionali straniere, il popolo argentino autonomo nel suo fabbisogno energetico, stia oramai scarseggiando.

Eletto deputato nazionale per la città di Buenos Aires il 28 giugno del 2009 con il suo partito Proyecto Surè (secondo partito nella provincia di Buenos Aires con il 24% dei voti), Solanas è un esempio di cineasta militante come ne nascevano una volta. In direzione ostinata e contraria, fin da quando riappoggia il ritorno di Peron in Argentina tra la fine degli anni sessanta e l’inizio dei settanta, se ne allontana quando l’ex presidente vira a destra e infine rischia il rapimento e fugge in esilio a Parigi dal ’76 all’83.

Le critiche ad un altro Chicago Boys come il presidente argentino Carlos Menem gli procurano nel maggio del ’91 una sventagliata di pallottole alle gambe che lo lasciano mezzo infermo. Eppure Solanas Fernando, detto Pino, ancora oggi sgambetta tra le immense e gelide distese dell’estremo sud e il non più selvaggio ma molto fiero nord ovest argentino fatto di catapecchie, per raccontare ancora scampoli di dignità e di innata passione umana.

Quell’accidenti di petrolio che scorre a chilometri di profondità e di cui l’Argentina è ricca, almeno per autosostentarsi. Eppure al periodo glorioso della nazionalizzazione dell’ingegner Mosconi e Canessa, della storica Ypf  è succeduto il tracollo della privatizzazione e vendita di un apparato di trivellazione e raffinazione del greggio avvenuto nel 1992 sotto la presidenza di Carlos Menem coadiuvato da Nestor Kirchner, allora presidente dell’Organizzazione Federale degli Idrocarburi, altro populista peronista che prima aveva promesso riforme progressiste poi subito arenatosi alle prime sirene fruscianti di denaro occidentale nel suo mandato presidenziale dei primi anni duemila.

Solanas percorre le strade che portano nei paesi dove l’industria nazionale del petrolio e del gas, tra gli anni venti e gli anni sessanta, ha costruito attorno a sé città, villaggi e lavoro. Opera di industrializzazione, simile per molti versi al dopoguerra italiano, che è stata smantellata in pochi mesi con la svendita di un patrimonio pubblico ai signori non troppo cortesi della Repsol.

“Il mio documentario è un lavoro indipendente”, spiega Solanas al fattoquotidiano.it, “è dal 2003 che vado alla ricerca del paese occulto. Dicono che l’Argentina è una società mediatica dove c’è tanta informazione. Ma se parliamo di spiegazione delle cause che hanno portato all’impoverimento del nostro popolo, al tracollo economico di qualche anno fa, di informazione non ce n’è”.

Protagonisti de La tierra sublevada – oro negro sono proprio ex operai, perlopiù di origine indigena, rivoltatisi con una certa violenza alla privatizzazione del settore petrolifero che per loro non ha significato altro che disoccupazione, impoverimento, inquinamento ambientale. “Senza l’umanità delle persone che incontro, che inquadro e che racconto, il mio film diventerebbe industriale”, prosegue Solanas, “il cinema documentario deve scoprire una realtà che lo spettatore non conosce”.

Tra i tanti spicca Pepino, ex dipendente Ypf, 76 denunce a suo carico (e mai una portata definitivamente a giudizio) diventato capopopolo di una protesta di strada che nel 2001 è finita in scontri aperti contro le forze dell’ordine, più o meno istituzionali, e una vittoria a suon di fionde e blocchi stradali, dopo aver raccolto i cadaveri di diversi dirimpettai tra i manifestanti. Ma è proprio in questa “terra in rivolta” che emerge la dignità e la fierezza di un popolo che nonostante dai rubinetti esca liquame contaminato, continua a combattere per un mondo collettivamente più giusto: “In Bolivia la rinazionalizzazione delle risorse naturali c’è stata. Da noi sono dodici anni che tentiamo, ma la situazione non si sblocca. Io e il mio partito l’abbiamo proposta e sappiamo che non c’è bisogno di nessuna riforma costituzionale, ma bastano decisioni legislative a livello di ogni singola provincia”.

E se per Solanas la fiducia nella presidentessa Cristina Kirchner, che ha appena riaperto il fronte Malvinas proprio per la questione petrolio, sembra essere ai minimi storici, la difesa del pubblico a gestire nuovamente petrolio e gas diventa la classica ricetta statalista con una venatura di innovativo e apocalittico ecologismo: “Nei libri del bilancio statale non si riesce a contabilizzare il bene che questa nazionalizzazione potrebbe tornare a dare alla società argentina. La gestione pubblica di alcuni servizi fondamentali  per i cittadini è innegabile: ospedali, scuole, treni ed energie naturali non possono essere privatizzati altrimenti il paese crollerà nuovamente. Quando dico questo penso anche all’Italia, anzi: dite che Monti mi sentirà?”

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