È stata davvero infelice la battuta del Presidente Monti: “Il posto fisso? Che monotonia! I giovani devono abituarsi all’idea che non avranno il posto fisso”. Una battuta infelice perché purtroppo i giovani sono già abituati, o meglio rassegnati, a questa idea. Una battuta inopportuna di fronte al dramma della precarietà e della disoccupazione, che non si combatte con la flessibilità o prendendo di mira l’art. 18, ma attraverso un salto di paradigma culturale.

Il Governo Monti vuole rilanciare la crescita e l’occupazione con le solite, vecchie e monotone ricette che sono destinate al fallimento. Che monotonia sentire sempre parlare di crescita, produttività, competitività, flessibilità. Che monotonia l’affermazione che la crescita economica è indispensabile per far crescere l’occupazione!

Dal 1960 al 1998 il Pil in Italia si è più che triplicato, la popolazione è cresciuta del 16% ma il numero degli occupati è rimasto costantemente intorno ai 20 milioni. Il che significa che una crescita così rilevante non solo non ha fatto crescere l’occupazione in termini assoluti ma l’ha fatta diminuire in percentuale dal 41,5 al 35,8%. Il che è ovvio: con l’aumento della produttività – altra parola che viene ripetuta come un mantra – si produce di più con meno occupati. Ma meno occupati significa meno consumatori. Quindi abbiamo sempre più merci sul mercato che sempre meno persone possono acquistare.

Per uscire dalla crisi e creare nuova occupazione bisogna fare esattamente il contrario di quanto si è fatto finora: superare il mito della crescita e indirizzare il sistema economico-produttivo verso l’economia della decrescita, riducendo gli sprechi e sviluppando i settori che accrescono l’efficienza nell’uso delle risorse consentendo di diminuire l’uso di combustibili fossili, di materie prime e i rifiuti (tutte cose che fanno crescere il Pil).

Oggi è possibile creare nuova e qualificata occupazione in attività quali l’agricoltura biologica, il risparmio energetico, il recupero di materiali, la produzione di energia da fonti rinnovabili. Bisogna impostare una nuova politica economica e industriale che punti ad esempio a ristrutturare l’intero patrimonio edilizio esistente secondo criteri di efficienza energetica, puntare sulla micro-cogenerazione diffusa di energia, investire in tecnologia e ricerca in campo energetico e ambientale.

Tutto questo non sfiora nemmeno lontanamente la testa dell’attuale classe politica che canta sempre la solita monotona canzone della crescita. Per cambiare serve una nuova classe politica ma soprattutto serve una nuova mentalità, da diffondere soprattutto fra i giovani, quelli che non avranno il posto fisso e che dovranno cercare di trovare strade nuove per scrivere un futuro diverso e costruire una società migliore di quella, non più sostenibile, basata sulla crescita e sul consumo.

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