Wall Street per Mitt Romney. Il flusso di denaro dalle élite finanziarie americane al candidato repubblicano era noto già da tempo, ma la pubblicazione, da parte della Federal Election Commission di nomi ed entità dei contributi elettorali, ha reso il dato ancora più clamoroso. I sei finanziatori più importanti della campagna di Romney sono stati, per il 2011, manager, familiari, gruppi legati a Goldman Sachs, JPMorgan Chase, Morgan Stanley, Credit Suisse, Citigroup, Bank of America.

Si tratta di una scelta di campo che contraddice la strategia del 2008, quando gran parte del mondo finanziario Usa decise di appoggiare Barack Obama contro George W. Bush, e che promette di influenzare in profondità i meccanismi elettorali, e quindi il funzionamento della democrazia americana. Secondo il “Center for Responsive Politics”, i sei giganti della finanza americana (che tra l’altro godettero nel 2009 del salvataggio del governo federale) hanno versato nella campagna di Romney 1,8 milioni di dollari. Un aiuto consistente è anche venuto da lobbisti ben conosciuti a Washington e incaricati di mettere insieme cospicue somme di denaro a favore. Patrick Durbin, che lavora per Barclay’s, ha raccolto 400 mila dollari; Bruce A. Gates, lobbista per la Philip Morris, ne ha radunati 275 mila; Austin Barbour, nipote dell’ex-governatore del Mississippi, ha portato nelle casse di Romney 210 mila dollari.

L’enorme flusso di denaro non si è diretto unicamente nelle casse del candidato. Buona parte dei contributi elettorali ha preso la strada di “Restore Our Future”, il SuperPAC che ha sinora foraggiato la campagna di Romney con ben 17,5 milioni di dollari (i SuperPAC, “comitati di azione politica”, non hanno vincoli di spesa). Molti di questi soldi si sono rivelati decisivi per le vittorie dell’ex-governatore in Iowa e Florida: “Restore Our Future” ha, in questi Stati, condotto un’aggressiva campagna di spot pubblicitari che hanno descritto il principale rivale, Newt Gingrich, come un lobbista egocentrico, rissoso e inaffidabile. Il gruppo è ricchissimo. Un milione di dollari è arrivato a “Restore Our Future” da un ex-collega di Romney a Bain Capital, la società di private equity che il candidato ha contribuito a fondare. Un altro assegno, sempre un milione, è stato staccato da John Paulson, divenuto celebre per essersi arricchito scommettendo contro il mercato dei subprime. E Bob Perry, il costruttore edile texano e repubblicano che tanto aveva fatto per infangare nel 2004 il passato militare di John Kerry (con gli Swift Boat Veterans), ha aggiunto un altro milione.

Tra i giganti del mondo degli hedge fund e del private equity si sono distinti in generose donazioni (almeno 250 mila dollari): Robert Mercer, Julian Robertson, Chris Shumway, Miguel Fernandez, Steven Webster. La loro generosità è stata ovviamente favorita dalle regole che governano i SuperPAC: organismi solo apparentemente indipendenti – “Restore Our Future” è stato fondato da ex-collaboratori di Romney, tra cui Charles Spies, general counsel della sua campagna nel 2008 -, in grado di ricevere donazioni illimitate (mentre quelle dirette ai politici sono limitate a 2500 dollari). Oltre al carattere illimitato dei finanziamenti, è la segretezza, la mancanza di controlli a segnare l’attività dei SuperPAC. Sempre “Restore Our Future” ha, tra i suoi principali donatori, W Spann LLC, società di cui non c’è traccia nel mondo del business americano. E’ stata fondata, ha donato un milione di dollari al gruppo pro-Romney, ha chiuso. Una parabola che ha suscitato molti dubbi sul ruolo delle “dummy corporations”, società fasulle che consentono a singoli e aziende di non apparire come diretti finanziatori della politica. Di più. Molti SuperPAC dirigono i propri fondi verso organizzazioni no profit, non obbligate a rivelare la lista dei loro donatori. Un modo per rendere ancora più opaco il sistema.

Anche altri candidati hanno goduto di ampie elargizioni da parte del mondo della finanza e dell’industria americana. Gingrich per esempio ha incassato l’appoggio di “Winning Our Future”, un superPAC finanziato con 10 milioni di dollari da Sheldon Adelson, magnate dei casinò, e da sua moglie Miriam. Il SuperPAC di Jon Huntsman ha portato a casa 1,9 milioni di dollari, usciti dalle tasche dal padre di Huntsman. E, al di fuori del campo repubblicano, Priority USA Action sta raccogliendo milioni di dollari per Barack Obama: un assegno da due milioni di dollari è stato staccato da Jeffrey Katzenberg, a capo di Dreamworks Animation, e un milione è arrivato dal sindacato, la Service Employees International Union.

L’estensione e la quantità di denaro messa in campo da Wall Street a favore di Romney è però un fatto assolutamente straordinario. Si pensi solo che Goldman Sachs, che ha complessivamente donato 496 mila dollari al candidato repubblicano, ha regalato a Obama appena 64 mila dollari. Dopo una fase di iniziale luna di miele, i rapporti tra la Casa Bianca e Wall Street si sono d’altra parte incrinati. L’approfondirsi della crisi economica ha esaltato i toni populistici del presidente. Banchieri e finanzieri “si sono sentiti scaricati da Obama… Questa è gente con un ego grandissimo”, ha detto Leonard Steinhorn, politologo dell’American University di Washington. La riforma del sistema finanziario, con controlli più stretti per banche e istituti finanziari, ha ulteriormente inasprito lo scontro. Il finanziere Romney, l’uomo che dice che “le corporations sono la gente”, è arrivato al momento giusto.

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