Il boss Gerlando Alberti

E’ morto a 84 anni in casa sua, nel quartiere Pagliarelli a Palermo, il boss di Porta Nuova Gerlando Alberti. Un nome che dovrebbe dire a qualcosa a chi, fino a tempi recentissimi, ha negato l’esistenza della mafia a Milano. “Zu Paccarè” – soprannome che vale per tipo stagno e furbo – infatti è stato un pioniere di Cosa nostra nel capoluogo lombardo e un autentico protagonista del grande traffico di eroina.

Alberti arriva a Milano nel lontano 1961. Si sistema in via Pietro Crespi, una traversa di viale Monza, con il mandato di controllare il traffico di sigarette. Organizza rapine ai camion in arrivo dal porto di Genova e rivende il carico in nero. Per copertura, apre un negozio di tessuti. E’ già un uomo di rispetto, Cosa nostra aveva deciso di puntare su di lui quando, a 17 anni, aveva gonfiato di botte un commerciante del quartiere palermitano di Danisinni che l’aveva denunciato per il furto di un caciocavallo.

Zu Paccarè è un padrino del suo tempo: donne (preferibilmente molto giovani), bella vita, bische, un parrucchino per coprire la calvizie, anellone d’oro all’indice della mano sinistra e Rolex sopra il polsino della camicia, “perché così lo porta l’avvocato Agnelli”. Indiziato per la strage di Ciaculli, dove il 30 giugno 1963 perdono la vita sette uomini delle forze dell’ordine, al processo se la cava con un alibi in perfetto stile: “Ero con una donna, una signora sposata, quindi non posso dirvi chi è per una questione d’onore”. Tanto basta per tornare libero. In occasione di uno dei tanti arresti subiti nella sua lunga carriera criminale, a Napoli, gli agenti lo trovarono in compagnia di una quindicenne.

A Milano, Alberti è uomo di punta dello squadrone di boss “esportati” da Cosa nostra a partire dagli anni Sessanta. E’ la stagione di Gaetano Fidanzati (grande stratega del traffico internazionale di droga, attività trasmessa al figlio Guglielmo, al quale l’anno scorso sono stati sequestrati bar e ristoranti alla moda), di Gaetano Carollo (suo figlio Tony sarà protagonista dell’inchiesta Duomo Connection che nei primi anni Novanta tocca Palazzo Marino), dei fratelli Bono, dei Ciulla. Nomi che ritorneranno nei decenni successivi. Gerlando Alberti viene raggiunto da un mandato di cattura (ma è già in carcere) anche nel “blitz di San Valentino” del 14 febbraio 1983, contro la “mafia dei colletti bianchi che ricicla i soldi del narcotraffico attraverso un gruppo di società domiciliate in via Larga 13, a pochi passi dal Duomo. La polizia ci arriva mettendo sotto controllo i movimenti di un certo Vittorio Mangano, già “stalliere” a villa Berlusconi ad Arcore.

Nel frattempo, infatti, il ras delle sigarette si è trasferito al numero 100 di via Generale Govone e si è dato al più redditizio commercio di stupefacenti. Il 26 agosto 1980, la polizia lo arresta, per l’ennesima volta, in una raffineria di droga a Trabia, vicino a Palermo. Mentre si dà da fare tra bidoni di acido solforico, acido acetico e stricnina, “zu Paccaré” è sorpreso insieme a tre marsigliesi, capeggiati da André Bosquet. Nel 1983, la prima condanna importante, per omicidio, lo confina in carcere per i successivi 24 anni. Dietro le sbarre subisce un paio di tentativi di omicidio, probabilmente connessi al suo legame con Gaetano Badalamenti, esponente della vecchia mafia invisa a Totò Riina. Una volta le guardie lo trovarono pieno di lividi, ma lui si limitò a dire: “Sono caduto dalle scale”. Invece lo avevano pestato in quattro.

Ormai vecchio e malato, ma ancora rispettato da boss vecchi e nuovi, e ancora coinvolto in recenti indagini antimafia, è morto agli arresti domiciliari.

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